C’è il Papa Nero nel delitto Winckelmann

Joahnn Joachim Winckelmann, archeologo e storico dell’arte, assassinato nella Locanda Grande di Trieste l’8 giugno del 1768, sepolto in una fossa comune e poi ricordato nel grande cenotafio voluto anni dopo da Domenico Rossetti (e che oggi tutti possiamo ammirare all’Orto lapidario di San Giusto), fu ucciso perché coinvolto in una trama imperial-clerico-vaticana degna di una storia alla Dan Brown. Lo sostiene, per meglio dire lo racconta, la storica dell’arte Paola Bonifacio, nel libro “Il delitto Winckelmann - La tragica morte del fondatore dell’archeologia moderna” (Metamorfosi, pagg. 148, Euro 14,00).
I delitto Winckelmann intriga dal giorno stesso in cui fu commesso e, prima della Bonifacio, tanti alti scrittori ed eruditi - compresi Cesare Pagnini ed Elio Bartolini - nonché romanzieri come Dominique Fernandez, hanno scandagliato documenti e carte processuali tentando di capire i veri motivi per cui Francesco Arcangeli, un cuoco con precedenti penali, uccise l’illustre studioso, che era gay, per poi finire a sua volta processato e giustiziato sulla ruota in quella che oggi è Piazza dell’Unità. Paola Bonifacio sceglie la via del romanzo giallo per riprendere la già contemplata tesi - confortata dal contesto storico in cui avvenne l’omicidio e dai tanti effettivi lati oscuri della vicenda - secondo la quale Winkelmann non fu vittima di una banale rapina a sfondo omofobo, bensì di un intrigo che coinvolse la Corte di Vienna, i Gesuiti e il Papa Nero. I documenti che gli furono sottratti assieme alle medaglie donate dell’imperatrice d’Austria, ricevuti alla Corte di Vienna e destinati al Vaticano, avrebbero creato serie difficoltà ai Gesuiti, che Maria Teresa vedeva come fumo negli occhi. E sarebbero stati loro ad armare la mano di Arcangeli... Insomma un giallo a tutto tondo, e la conferma di quanto la storia di Winkelmann continui ad affascinare e a ispirare saggi, storie e leggende.
Pietro Spirito
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