“C’era una volta in America” il dietro le quinte di un film culto
Il 28 marzo 2020 dal terrazzo di una casa affacciata su piazza Navova un giovanissimo musicista appena diciottenne, Jacopo Mastrangelo, suonava alla chitarra il tema di "C'era una volta in America", musica composta da Ennio Morricone. Jacopo ha regalato a Roma, e all'Italia intera, uno dei momenti più toccanti della prima fase della pandemia. Da quel giorno l'inno ufficiale del lockdown italiano è diventato "Deborah's Theme". Il 2 settembre di quello stesso anno la Mostra del cinema di Venezia si apriva con lo stesso brano musicale, suonato da un'orchestra d'archi di nove elementi. Piero Negri Scaglione ricorda questi elementi contestuali nel ripercorrere la vicenda compositiva del suo libro "Che hai fatto in tutti questi anni. Sergio Leone e l'avventura di C'era una volta in America" (Einaudi, pp. 242, euro 20,00). "Once upon a Time in America" è il titolo originale di uno dei film più celebri di Sergio Leone e di uno dei grandi capolavori della storia del cinema. Costato dieci anni di lavoro, è stato in Italia uno dei maggiori successi della stagione 1984-1985, nonostante la sua inusitata lunghezza: più di tre ore. In America invece - rimontato dal produttore rispettando la successione temporale e cancellando la parte dedicata all'adolescenza dei protagonisti, ma soprattutto riducendo la pellicola alla più ragionevole durata di due ore - è stato invece un fiasco. Segno che non si può ignorare impunemente quella che i filologi chiamano "la volontà dell'autore". Un film colossale, una grandiosa parabola sul tema dell'amicizia e del tradimento, che ha per protagonisti due gangster ebrei newyorkesi (uno dei quali interpretato, nella fase della maturità, da uno straordinario Robert De Niro) e come sfondo l'ambiente della malavita del Lower East Side dagli anni '20 fino agli anni '60 del '900. Da europeo, nell'ultimo film da lui diretto, Sergio Leone condensa un omaggio all'immaginario cinematografico americano.
Piero Negri Scaglione ricostruisce la storia di questo "cult movie" sin nei minimi particolari: dal primo momento in cui al regista è venuta l'idea di girarlo, 1966, a quando, quasi un ventennio più tardi, il lungometraggio è stato presentato al festival di Cannes, 1984. Spiega Negri Scaglione: «C'è qualcosa di misteriosamente perfetto in queste date, in questa lunga attesa. Il film racconta il mondo che chi era giovane nel 1984 vedeva davanti a sé, un mondo di individui, senza legami forti, neppure familiari, un mondo di uomini soli in cui il tradimento sembra essere l'unica certezza, il fallimento l'unica prospettiva».
L'autore del saggio spiega l'importanza di "C'era una volta in America" con la convinzione che si tratti di un'«opera-mondo», quasi «un'epica moderna, o postmoderna» basata sul racconto di una fase storica e di una generazione, ma anche capace di assurgere al rango di un classico che contenendo tanta storia contiene, in fin dei conti, la realtà nella sua essenza. Ecco forse la ragione fondamentale della fama di questa pellicola. Piero Negri Scaglione non si limita però a un'esposizione oggettiva: mette se stesso nel quadro. Aveva diciotto anni quando nell'84 vide quel film per la prima volta, rimanendone folgorato. Il resoconto della sua raccolta di informazioni nel corso del tempo è anche il racconto di una passione: esigente, ossessiva, totalizzante. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo