Chanel, Bausch, Sontag che pazzia l’agenda delle geniali stakanoviste

Mason Currey in un libro edito da Neri Pozza racconta le abitudini e i ritmi massacranti di donne di successo

la recensione



Donne, donne, eterni Dei, chi vi arriva a indovinar?” canta Figaro nel “Barbiere di Siviglia”, ma ancor più difficili da indovinar sono i percorsi creativi delle donne che hanno scelto di dedicare le loro esistenze all'arte. Un tema che è stato scandagliato dallo scrittore americano Mason Currey, autore di “Grandi artiste al lavoro: Stranezze, manie e rituali quotidiani” (traduzione di Chiara Brovelli, Neri Pozza, pagg. 381, euro 190), sequel di “Daily Rituals: How Artists Work” uscito nel 2013, ma che aveva però il difetto d'occuparsi essenzialmente di geni maschili.

Currey descrive le routine di oltre centotrenta tra scrittrici, pittrici, stiliste di moda, cantanti, attrici, poetesse e danzatrici, per la maggior parte appartenenti all'area britannica e statunitense. Le sintetiche schede, ricche di divertenti aneddoti e citazioni, sono raggruppate in tredici capitoli tematici e sono spesso illustrate da foto. L'aspetto che più colpisce delle vite delle donne descritte da Currey è la totale, ossessiva dedizione al loro lavoro, sia che esse siano state sposate, con figli o libere. Quale che sia la forma d'espressione artistica scelta, la creatività appare richiedere loro una rigorosa organizzazione del lavoro. Forse perché la campionatura esclude il mondo cattolico/mediterraneo, ma sembra che tutte queste artiste abbiano fatto propri l'“Etica protestante e lo spirito del capitalismo” teorizzati da Max Weber. Le giornate della maggior parte delle donne qui descritte, come la coreografa Pina Bausch, la stilista Coco Chanel, l'attrice Tallulah Bankhead, o la scrittrice Lillian Hellman e centinaia di altre, hanno ritmi di lavoro da far impallidire gli stakanovisti yuppie della City e che renderebbero felici i capi del personale e i responsabili della produttività delle aziende di mezzo mondo. La scrittrice inglese Radclyffe Hall (1880-1943), autrice del famoso romanzo “Il pozzo della solitudine”, praticamente non dormiva mai abbastanza “dopo una nottata di intenso lavoro - dopo sedici ore filate, durante le quali buttava giù controvoglia il cibo che le veniva portato, senza lasciare la scrivania – riprendeva a scrivere dopo colazione per il resto della giornata”. Due autentiche workaholic erano Coco Chanel (1883-1971) e Elsa Schiaparelli (1890-1973). Currey scrive che per Coco il lavoro era la sua vita “e anche l'unico partner fidato che riuscì a trovare. La dedizione continua al brand Chanel la rese una donna d'affari formidabile e per i suoi dipendenti fu un datore di lavoro esigente al limite dell'abuso”. La stilista “era capace di rimanere in piedi per nove ore di fila, senza fermarsi a mangiare o a bere un bicchiere d'acqua... apparentemente senza mai nemmeno fare una pausa per andare in bagno.”

Invece le creazioni di Elsa Schiaparelli nascevano mentre si recava al lavoro a piedi, o mentre passeggiava in campagna: “Per natura una ribelle che rifiutava le restrizioni, Elsa non ragionava bene chiusa tra quattro mura.” Ciò non le impedì comunque di seguire per tutta la vita un'inflessibile routine di lavoro giornaliero dal mattino alle 8 fino a notte inoltrata. Per la quasi totalità delle scrittrici e delle pittrici elencate nel libro la condizione sine qua non per riuscire a creare appare l'esistenza della famosa “stanza tutta per sè”, ovvero lo studio, la casa isolata in campagna, la solitudine e il silenzio necessari a ottenere la massima concentrazione. Susan Sontag (1933-2004) ammise che “bisogna scegliere tra l'opera e la vita” aggiungendo che “non si è mai abbastanza soli per scrivere.” Centinaia di severe routine, di giornate di lavoro che iniziano all'alba e che terminano a notte fonda. Una sfida al mondo e chissà, come scrisse Marguerite Duras (1914-1996), la sensazione di stare facendo qualcosa “che non dovrei fare.” —



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