Che cos’è la grazia? Così rispondono i filosofi

di CRISTINA BENUSSI
Nel congresso internazionale di Filosofia, promosso dal Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Trieste in collaborazione con l'Università del Litorale (Capodistria), e che si svolgerà domani e giovedì al Dipartimento di Studi Umanistici, sarà affrontato un suggestivo tema: l'idea di 'grazia' nei suoi molteplici significati (poetici, estetici, teologici, economico-politici) vagliandone il significato nel pensiero contemporaneo con speciale riguardo allo charme, all'improvvisazione, alla trasfigurazione e alla gratuità.
A tale convegno, a cui parteciperanno tra gli altri Massimo Cacciari e Umberto Curi, interverrà anche la filosofa belga Luce Irigaray, che conquista una notorietà mondiale nel 1975, allorché pubblica “Speculum. L'altra donna”, opera che mette in discussione le teorie di Freud e di Lacan e che le costa la sospensione dall'incarico di insegnante presso l'università di Vincennes.
Anche grazie al suo contributo, è diventata di dominio comune l'opinione in base alla quale i valori della cultura e della tradizione filosofica occidentale non sono neutri, ma declinati in prospettiva maschile sicché la donna è stata fortemente penalizzata. Lo specchio in cui i piccoli, e soprattutto le piccole si sono riflesse per trovare la propria identità è stato frantumato da Luce Irigaray, che ha porto loro uno diverso, lo speculum, nel quale l'identità femminile si mostra come depositaria di valori positivi, non sufficientemente riconosciuti ed apprezzati a volte neppure dalle donne stesse.
L'importanza di questa nuova consapevolezza si misura in infiniti ambiti, a partire dal modo in cui si intendono le relazioni personali e sociali. Quando uno dice "io", infatti, parla sempre a un "tu": per la donna concentrarsi sul "tu" comporta una situazione che valorizza, piuttosto che i propri, i discorsi degli altri, attraverso i quali può stabilire un legame affettivo con tutto ciò che non è "lei", ma altro da sé. Una curiosa verifica è stata fatta nelle scuole, dove Irigaray ha dato agli scolari parole che sottintendono una relazione (io- tu, io-lei, io-lui, con, insieme, amare, desiderare, condividere) ottenendo risposte significative. Le bambine scelgono di entrare in relazione con il compagno di banco o il vicino di casa, o il collega, in un rapporto orizzontale, paritario. I bambini e i ragazzi scelgono invece rapporti gerarchici, amano le relazioni verticali, dove s'impone una differenza di potere. Le ragazze dicono piuttosto "ti amo", "ti amerò sempre", "desidero amare". I ragazzi rispondono "voglio amare me stesso", oppure "amo il calcio". La relazione femminile tipica è tra due soggetti io e tu, mentre il maschio sceglie preferibilmente una relazione soggetto-oggetto.
Questa differenza rappresenta la ricchezza del mondo, ma è stata storicamente sperperata perché le donne sono state oppresse, e la loro capacità di mettersi in rapporto con l'altro è stata usata prevalentemente per sottolineare la loro predisposizione alla "cura". Irigary è dunque molto attenta nell'indicare che l'obiettivo non deve essere l'assimilazione delle donne al modello maschile, ma piuttosto l'affermazione orgogliosa della propria differenza. Così, quando le donne rimettono in causa le forme e la natura della vita politica, il gioco attuale dei poteri e dei rapporti di forza, lavorano effettivamente ad una modificazione dello statuto della donna. Al contrario, quando lottano per un semplice rovesciamento nella detenzione del potere, lasciandone intatta la struttura, allora esse si risottomettono, che lo vogliano o no, ad un ordine fallocratico. Il discorso della studiosa è poi proseguito nel tempo, lasciando intravvedere possibili esiti di una visione del mondo che mira a render sempre più condivisi valori imperniati sulla collaborazione e non sul dominio. Non a caso è stata invitata a chiudere un convegno sulla "grazia e l'occasione", categorie che implicano la rivisitazione dei parametri della cultura occidentale, basata sulla competitività e sullo sfruttamento, per provare a ragionare in termini di charme, improvvisazione, trasfigurazione, gratuità del gesto, che dovrebbe essere essenzialmente di amore per l'"altro" da sé.
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