Che duro tradurre Svevo in giapponese se “Senilità” diventa un carnevale

Paolo Marcolin

Qualche anno fa Riccardo Cepach, curatore del Museo Sveviano, aveva giocato con le parole Zeno e Zen mescolando (non shakerando, però) il buddhismo e alcuni aspetti che nell'inetto più famoso della letteratura richiamavano, a suo dire, certi comportamenti della filosofia orientale. Portando il suo 'witz' in trasferta, a Tokyo, con la conferenza 'la Coscienza dello Zen' aveva cercato di stimolare i lettori del Sol Levante a incontrare Italo Svevo, mettendo in luce come Zeno sia in realtà un vincente, perché come un lottatore orientale usa a suo vantaggio l'energia degli avversari. Ma se Svevo in Giappone non ha ancora sfondato la causa sta nella difficoltà di rendere l'umorismo dell'autore triestino in giapponese, lingua nella quale è difficile, come sostiene la ricercatrice giapponese Sawa Ishii, "rappresentare sia il mondo sveviano grigio che quello complementare in cui si trovano i brillanti spunti umoristici che colorano la trama". La difficoltà di tradurre Svevo in giapponese comincia già dal titolo: la prima edizione della 'Coscienza di Zeno' è uscita in Giappone nel 1967 come 'Il tormento di Zeno'; 'Senilità', pubblicata nel 2002, è diventata 'Il carnevale di Trieste'. Tradurre Svevo in giapponese non è un lavoro facile, lo stesso traduttore, scrive Sawa Ishii, non nasconde che "è solo un lettore fortunato il tale che, cominciando a leggerlo, alla fine si accorge di averlo finito".

Il saggio di Sawa Ishii è ospitato nel primo numero della nuova serie della rivista 'Aghios' (Campanotto editore, 111 pagg., 15 euro), Quaderni di Studi Sveviani diretti da Giuseppe A. Camerino e Elvio Guagnini. Il periodico di saggistica e di informazione si propone, si legge nella quarta di copertina, di dare conto dei lavori in corso intorno all'opera dello scrittore triestino, proprio mentre studi sull'opera di Svevo vengono pubblicati in gran numero in Italia e all'estero: di qui la necessità di uno schedario sistematico di queste pubblicazioni e di rassegne periodiche dell'attività di studio intorno all'opera sveviana.

In questo numero, oltre alle considerazioni sulle traduzioni in giapponese di Svevo, Giuseppe Sandrini esamina una lettera di Montale a Stuparich (che segna l’inizio dell’amicizia tra i due) sull’edizione delle novelle di Svevo e Barbara Sturmar si occupa dell’amicizia tra Svevo e il pittore Arturo Rietti.

Letizia Cristina Margiotta infine, si occupa del racconto, concluso ma mai pubblicato, 'Lo specifico del dottor Menghi', il cui autografo è conservato nel Museo Sveviano. Qui Svevo è alle prese con il tema del tempo, la cui corsa un siero, l'Annina, riuscirebbe a rallentare mettendo al minimo il motore del corpo. Questo elisir di lunga vita, che si rivela un fallimento per il suo inventore, è l'esito di una riflessione che Svevo aveva mosso dalla teoria della relatività di Einstein, e che ritorna anche in altri suoi scritti, influenzati dalla concezione, secondo l’allora nuova e dirompente visione di Einstein, che il tempo non è rettilineo e univoco. Ma rallentare il consumo di energia fino a metterlo al minimo per Svevo significa giungere alla contemplazione, all'attimo fugace di una catarsi provvisoria. Un’immagine che rimanda allo Svevo zen e che promana dall’influsso che sul suo pensiero ebbe la filosofia di Schopenhauer, a sua volta affascinato dal buddhismo e dal pensiero orientale in genere. —

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