Che pasticcio la storia ambientata a Trieste dove lo scrittore (forse) non è mai stato

“Il peso delle parole” del filosofo svizzero Peter Bieri In copertina il Molo Audace, ma la città non si ritrova



La copertina del libro è accattivante: un molo, una bitta, un lampione ottocentesco, il mare blu, all’orizzonte un mercantile e una vela. Di lato un uomo in completo scuro, visto di spalle. Sul retro, la stessa foto, senza l’uomo. È il Molo Audace ed è la copertina di “Das Gewicht der Worte” (Il peso delle parole, Hanser Verlag, 2020, pp. 573, euro 26), un romanzo ambientato tra Trieste e Londra, a firma di Pascal Mercier, pseudonimo del filosofo svizzero Peter Bieri (Berna, 1944) divenuto famoso nel 2004 col bestseller “Treno di notte per Lisbona” (edito da Mondadori), da cui nel 2013 il regista Bille August ha tratto l’omonimo film con Jeremy Irons, Mélanie Laurent e Bruno Ganz. Abbandonato l’insegnamento universitario perché nauseato dalla ’dittatura della produttività’ imperante nel mondo accademico, dal 2007 Bieri si dedica solo alla scrittura di ’romanzi filosofici’. Tema comune ai due libri è la passione per le parole: nel “Treno di notte per Lisbona” sono le pagine del memoir di un misterioso medico portoghese che spingono un professore di lingue antiche a perdersi in una Lisbona che porta ancora le cicatrici del salazarismo, mentre in “Das Gewicht der Worte” il traduttore Simon sogna di poter conoscere tutte le lingue dei paesi che s’affacciano sul Mediterraneo. Entrambi si trovano a un punto di svolta della loro esistenza. Quando gli viene diagnosticato un tumore mortale Simon inizia a scrivere lettere alla moglie Livia, precocemente scomparsa dopo aver ereditato la casa editrice paterna a Trieste. L’eredità aveva comportato il trasferimento della coppia con i figli Sidney e Sophia da Londra a Trieste, che per Simon è ’la città delle parole’. Eppure se le parole hanno un peso, come recita il titolo del libro, a volte il loro peso è pari a zero se sono usate come vuoti contenitori. Così, rispetto alla vivida Lisbona dell’altro romanzo, in “Das Gewicht der Worte”, Trieste è solo un’entità topografica astratta, artificiale; e il vano utilizzo del suo nome fa pensare al solito abusato trucco. In centinaia di pagine, Bieri riesce solo a nominare il Molo Audace, il Canale, il Viale e il traghetto per Muggia, il resto è un incongruo groviglio di anonime “strade e piazze” dove neppure il lettore triestino riesce a orientarsi; vaghezza che denuncia una superficiale conoscenza della città frutto forse della visita di un week end. Il contrasto è eclatante quando l’autore passa a descrivere Londra. Lì, come in una favola – dopo aver venduto la casa editrice ed aver scoperto che la ferale diagnosi era errata – Simon riceve in eredità dallo zio una magnifica casa a Hampstead. A differenza di Trieste, qui lo scrittore si profonde in una dovizia di dettagli che rivelano la sua familiarità con Londra e l’Inghilterra. Quando a Simon s’apre la prospettiva di vivere tra Ponterosso e Hampstead e disporre dell’enorme ricavato dalla vendita della casa editrice, la lettura diventa ancora più imbarazzante, perché il verboso traduttore si trasforma in una sorta di santo pagatore di debiti, dispensatore di mezzi finanziari e offerte di lavoro agli amici in difficoltà. Beneficiari sono in particolare il suo editore inglese, il nuovo vicino di casa londinese e, a Trieste, un russo appena uscito dal Coroneo ed un cameriere irlandese disposto a procurargli, in caso di bisogno, morfina da oltreconfine. La narrazione è vieppiù complicata dalle noiose digressioni, dall’inutile moltiplicarsi dei personaggi, dalle ridondanti lettere alla defunta moglie e da banali meditazioni sulla traduzione. Alla fine ci si chiede: perché tra tante esotiche città mediterranee l’autore ha scelto d’ambientare il suo romanzo in una che palesemente non conosce? Forse perché un romanzo si vende meglio se in copertina c’è una bella foto di Trieste. —

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