Chi è il Gesù di Michelstaedter
In un saggio del docente Ivano Caliaro gli “educatori” del filosofo morto suicida

Nella sua breve vita, il filosofo e poeta goriziano Carlo Michelstaedter (1887-1910), morto suicida all'età di ventiquattro anni, ha cercato di dare una risposta alla domanda che da sempre assilla l’uomo che pensa: se sia possibile, cioè, conferire un valore assoluto alla propria esistenza. Lo ha fatto ponendosi sulle orme di coloro che a quella domanda hanno risposto con la propria vita, pertanto «educatori», «guide dell’umanità». Nel volume
“Per una vita che sia vita. Studi su Carlo Michelstaedter” (Olschki, pagg. 120, euro
20)
,
Ilvano Caliaro
, docente di Letteratura italiana contemporanea all'Università di Udine, parla appunto del dialogo intenso intrattenuto dall'autore con alcuni di questi grandi personaggi della storia: Socrate, Gesù, Tolstoj e Petrarca.
Professor Caliaro, qual è l'idea centrale del suo libro?
«Michelstaedter con la sua riflessione ti mette con le spalle al muro, costringe a un esame di coscienza, a dare, anche tu che lo studi, una risposta a quella domanda alla quale, attraverso il travaglio della sua riflessione, ha voluto dare una risposta. Ho cercato di individuare il percorso che lo ha condotto a rispondere a quella domanda: come devo vivere? Può l’uomo riconoscere e dare alla vita un significato assoluto? La sua risposta è costituita dalla sua "persuasione", la condizione in cui l’uomo si è liberato dai condizionamenti esterni e, guidato dalla ragione, ha individuato il valore assoluto, il "bene", che per lui consiste nella giustizia, nella relazione con l’altro riconosciuto come uguale, per cui egli vede in Gesù chi ha dato la risposta risolutiva a quella domanda. La "persuasione", così intesa, è tuttavia una mèta ideale: ma bisogna comunque avere "il coraggio dell’impossibile"».
La figura di Michelstaedter è a cavallo tra filosofia e letteratura. In che modo si tengono insieme, nella sua produzione, questi due ambiti?
«In Michelstaedter viene meno il confine tra filosofia e letteratura, già di per sé spesso facilmente valicabile, nel momento in cui egli recupera la nozione originaria e autentica di filosofia, intesa come arte di vivere da uomo libero, che ha individuato e che cerca di tradurre in pratica di vita il bene. Solo costui egli considera filosofo e quindi riconosce come educatore e guida dell’umanità. Per questo letterati come Petrarca e Leopardi, valgono per lui soprattutto come filosofi».
Uno dei filoni della ricerca riguarda il rapporto di Michelstaedter con gli antichi...
«Per Michelstaedter la parola degli antichi è ancora viva e vitale. Egli infatti considera gli antichi guide nella sua ricerca della verità, alla maniera di Socrate, s’intende: non di chi inculca un sapere costituito, ma di chi aiuta a generare la propria verità, mettendo in discussione quel sapere costituito, come ha insegnato, con la propria vita, appunto Socrate. Gli antichi costituiscono uno straordinario strumento conoscitivo, per interrogarsi sull’uomo, sulla vita, sul mondo, ed essi, ciascuno con la propria persuasione, contribuiscono alla costruzione della sua persuasione».
In che cosa è consistito il rapporto di Michelstaedter con Tolstoj?
«Anche Tolstoj è tra gli "educatori" di Michelstaedter, ma non il romanziere, bensì il riformatore religioso e sociale, quale lo scrittore russo era conosciuto soprattutto in quegli anni del primo ’900. Anche Tolstoj cerca un valore assoluto che giustifichi l’esistenza, e il suo incontro con Gesù sconvolge e riorienta la sua vita anche artistica. Pure il Gesù di Tolstoj è soltanto un uomo, che ha testimoniato con la sua vita il bene; e nel cui insegnamento Tolstoj, come anche Michelstaedter, vede culminare quanto sostenuto da altri maestri di vita appartenenti ad altre epoche e ad altre culture».
E quello con Petrarca?
«Come ho accennato prima, Michelstaedter legge Petrarca come un filosofo, per cui di Petrarca fa un uso soprattutto e coerentemente antiretorico. Con Petrarca condivide la necessità ineludibile di cercare un valore assoluto, e da Petrarca prende parole significative per esprimerla, la necessità di individuare dove "fondare in loco stabile sua speme": ma se per Petrarca il "loco stabile" è il Dio della Rivelazione cristiana, Michelstaedter, che non ammette una dimensione trascendente, lo identifica nella "persuasione"».
Che idea si è fatto delle motivazioni alla base del suo suicidio?
«A portarlo al suicidio è stato un complesso di motivazioni, anche contingenti, e che riguardano pure la sua sfera più intima. Non si può comunque ridurlo a un suicidio "metafisico", anche se possiamo avvertire in lui la coscienza di come quella libertà tanto affermata e desiderata fosse difficilmente raggiungibile e di quanto forti fossero le attese e gli imperativi del suo ambiente sociale, pronto, dopo la laurea, ad assimilarlo».
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