Chiamiamole casomai emozioni mai “soltanto” canzonette la buona musica è una medicina

“Ci sono due tipi di musica, la buona musica e tutto il resto”. Comincia con quest’affermazione di Duke Ellington il libro di Murakami Haruki e Ozawa Seiji, “Assolutamente musica” (Einaudi, pagg. 312, euro 19,50): un dialogo appassionato e straordinario tra un grande scrittore e uno dei maggiori musicisti contemporanei, a lungo direttore della Boston Symphony Orchestra e della Wiener Staatsoper. Sono sei conversazioni e quattro interludi, in cui emergono con esemplare chiarezza il senso della musica, la felicità dell’ascolto, l’impegno nella comprensione profonda dello spartito e nell’esecuzione, il gioco di seduzione del grande fascino del jazz e del blues, seguendo proprio i suggerimenti di Ellington.
Si comincia parlando del Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 di Beethoven, si va avanti con Brahms e soprattutto con Mahler (con l’aneddoto emozionante della bacchetta ceduta da von Karajan a Ozawa per dirigere l’Ottava Sinfonia), con le esecuzioni originalissime di Gleen Gould (creazione, più che interpretazione) e con le discussioni sul rapporto tra musica e scrittura e sull’importanza di insegnare la musica ai giovani e di coinvolgere le nuove generazioni nella conoscenza e nella coscienza della bellezza dell’ascolto musicale. “La musica è la mia medicina”, sostiene Ozawa, citando Abbado, durante la convalescenza d’una serie di interventi chirurgici. Una strada, appunto, per la felicità.
La grande musica può pur fare da sfondo essenziale d’una serie di misteri. Come si racconta in “Arrivederci, signor Čajkovskij”, un romanzo di Nicola Fantini e Laura Pariani (Sellerio, pagg. 416, euro 15). Tutto succede nel dicembre del 1878 a Orta, sulle sponde dell’omonimo lago, in provincia di Novara. Il compositore è lì in villeggiatura, cercando calma, riposo dalle profonde inquietudini che lo divorano e ispirazioni per continuare a scrivere la sua musica. E a poca distanza, sull’isola di San Giulio, vive la nobile e ricca Nadezda Filaretovna von Meck, che di Čajkovskij è innamorata mecenate. Tra i due c’è un patto originale: mai incontrarsi, ma scriversi quotidianamente e fare vivere tra parole e accenni di note la propria intimità.
Bizzarra situazione, per la verità. In un luogo, peraltro, carico di situazioni misteriose. Cinque ragazze inglesi segregate in una villa. Un intreccio di pettegolezzi. Un delitto che coinvolge e stravolge la comunità. E la musica? Apre l’anima a nuove inquietudini e suggerisce libertà.
Ecco, la buona musica. Con la capacità di mescolare generi e innovare. Come fa bene Paolo Conte, forte d’una sofisticata cultura classica e jazz. E come racconta in “Razmataz” (Feltrinelli, con un dvd del musical omonimo, pagg. 280, euro 60). Il senso, lo spiega proprio Conte, nella prefazione al volume: “Razmataz è un vecchio sogno che coltivo da trent’anni, figlio dei miei vizi musicali che sono la musica e la pittura e del mio insistente desiderio di mettere il naso nel gusto e nello spirito degli amati anni Venti, culla delle avanguardie estetiche del Novecento”. Suoni jazz e colori dell’espressionismo, ritmi esotici, sperimentazioni linguistiche, tutto un cercare e creare: “Era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti”. E, comunque, ci si divertiva molto.
Con la musica si raccontano persone, ambienti, immaginazioni ed eventi reali. Lo testimonia Umberto Broccoli, uomo di cultura e volto noto in tv, in “Questa è la storia” (Bompiani, pagg. 848, euro 40) ovvero “Cinquant’anni di storia italiana attraverso le canzoni”, un percorso tra parole e note dal 1938 al 1988. Si comincia con “Vivere”, “senza malinconia”, dice il testo (un paio d’anni dopo sarebbe scoppiata la guerra), ci si ritrova, nel vitalismo della Ricostruzione, con l’allegria dei “Pompieri di Viggiù” e il romanticismo di “Grazie dei fior” di Nilla Pizzi, un trionfo al festival di Sanremo. E poi, nel tempo, “Il ragazzo della via Gluck” di Adriano Celentano, la poesia dei cantautori, le struggenti interpretazioni di Mina, la fantasia di “Volare”. Sino ai giorni nostri.
Tu chiamale, se vuoi, emozioni. Mai, solo canzonette. Buona musica, appunto.
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