Con “Le mani piccole” desiderio e crudeltà feriscono e oscurano il mondo dei bambini

Lo spagnolo Barba stravolge lo stereotipo puro dell’infanzia Marina e le sue compagne vivono pulsioni e istinti feroci
Teenager thinking about children exploring
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Elisa Coloni

«Tuo padre è morto sul colpo, tua madre è in coma». Marina non piange, non si dispera, non reagisce. Ascolta, apparentemente impermeabile, fredda, distaccata. E anche quando, insistentemente, medici e psicologi le chiedono se ha compreso il significato di quella frase, lei risponde con un semplice «sì». Lucido, piatto, inespressivo. In realtà ha capito che quelle poche parole la renderanno per sempre “diversa”, e imparerà a pronunciarle «senza tristezza, un po’ come il suo nome davanti agli estranei: “mio padre è morto sul colpo, mia madre in ospedale”».

Marina è la protagonista di “Le mani piccole” (La nave di Teseo, euro 16) dello spagnolo Andrés Barba, poco più di cento pagine che accompagnano il lettore in un mondo che non ha nulla del mito dell’infanzia pura e caramellosa cui siamo abituati. È un universo oscuro di veleni e cattiverie, desideri espressi e inespressi, vissuti, subiti e spesso non capiti fino in fondo. Dentro ci sono il male e la violenza, che possono scaturire da un bambino per ferirne altri, ma anche la sincerità dei sentimenti e delle pulsioni che solo nell’età della crescita si riescono a vivere così. Le anime piccole e le loro piccole mani, in questo bel romanzo, non sono innocenti.

Marina ha sette anni ed è in macchina con i genitori, quando l’auto si ribalta per colpa di un sorpasso azzardato che la farà restare sola al mondo. Nello schianto si ferisce, si spezza le ossa, ma resta in vita, portando con sé indelebili cicatrici, dentro e fuori. Finisce in un orfanotrofio, dove incontra tante coetanee nella sua stessa condizione, ma c’è qualcosa che la rende differente. Loro la guardano e vedono in lei un’ombra oscura. Capiscono subito che nulla, dopo il suo arrivo, sarà più come prima: lei sarà lei, le altre saranno le altre. La nuova inquilina dell’istituto suscita nelle compagne sentimenti contrastanti, odio e desiderio. Esercita su di loro un fascino tetro e fosco che le attira come una calamita e poi le respinge, con altrettanta forza. Sono attratte da lei, vogliono toccarla e parlarle, respirarne odori e segreti, ma al tempo stesso la detestano.

Marina e il suo passato tragico, ma pur sempre vissuto in una famiglia fatta di affetti, gioie e viaggi che loro non hanno mai conosciuto. Marina e le sue cicatrici. Marina e il suo silenzio, la sua inaccessibilità: la bambina sfugge alle logiche del gruppo e ciò la relega a una quotidianità solitaria, da emarginata, che si traduce in un crescendo di angherie e umiliazioni. Le altre la venerano, ma non la comprendono e, come accade con tutte le cose che non si capiscono e non si possono avere, la temono e la odiano. Le tirano i capelli, la picchiano, la insultano. La osservano come fosse un’ipnotica sorgente di luce e dipendono dai suoi gesti, e per questo disprezzano lei e la sua inseparabile bambola-scudo. Lei è sola e soffre. Sa di essere un corpo estraneo, ma in qualche modo necessario alle nuove dinamiche di quel posto. E allora decide di reagire e inventa “il gioco”, per tentare di infilarsi nelle logiche del gruppo e dominarle. Il gioco si svolge nel buio, dove il silenzio della camerata viene rotto da piccole voci sussurrate che si rincorrono, dando corpo a precisi rituali, notte dopo notte. Le istruzioni le decide lei, Marina, che nelle tenebre può finalmente sfuggire alla feroce realtà del giorno e sentirsi ascoltata, forte, decisiva. Ma il gioco è pericoloso e ci si perde; si scatenano pulsioni e istinti selvaggi, davanti ai quali le regole imposte sono troppo difficili per essere rispettate. Il romanzo di Andrés Barba, considerato tra i più interessanti autori di lingua spagnola contemporanei, è, come la sua protagonista, diverso. Si addentra in un terreno difficile e lo fa senza stereotipi, partendo da un presupposto semplice, quanto distante dal senso comune: l’infanzia non è un paradiso e i bambini non sono angeli. Sono solo esseri umani giovani, ma con le stesse paure, pulsioni, desideri e istinti degli adulti. A volte, purtroppo, irresistibili e crudeli. —

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