Con le prove tecniche di resurrezione la morte non fa più paura

la recensione
Cos’altro è la vecchiaia se non una metamorfosi? E poiché all’invecchiamento non si può sfuggire, dobbiamo accettare l’invito della natura a cambiare nel più profondo di noi stessi. Può essere un’occasione per risorgere.
Antonio Polito, editorialista autorevole e vicedirettore del Corriere della Sera, passato il traguardo dei sessant’anni, come tanti di noi si è reso conto di non essere immortale. Finché ci sentiamo giovani, viviamo come se lo fossimo. Eppure non ci curiamo della nostra parte spirituale, l’anima, ciò che percepiamo in noi di immortale. E che tutte le religioni ci dicono sia quel legame con il divino che ci dà la speranza di vivere, di dire non è finita qua.
Polito ha avvertito che il suo cambiamento fisico fosse foriero di un’inquietudine spirituale; ha letto un po’ di classici e ha preso carta e penna cominciando a tenere un diario per interrogarsi e capire come dovesse cambiare. Scrivere aiuta a far chiarezza in noi stessi e a guarire il nostro pensiero. Leggendo “Prove tecniche di resurrezione. Come riprendersi la propria vita” (Marsilio, pagg. 154, euro 17) si ha la sensazione che l’autore abbia attraversato una crisi mistica. Che non è quell’insoddisfazione da consumismo che porta una persona a partire per la tangente e provare la new age. Ma proprio il bisogno di assoluto, di sentirsi parte di un ordine divino in cui non puoi prescindere dal comportarti secondo coscienza.
Come fare? Scendere giù, nell’inferno del nostro essere per cercare la propria anima. Spogliarsi da ogni orpello intellettualistico e guardarsi nello specchio: nudi, senza preconcetti. Come facevano i mysti greci che affrontavano la ricerca dell’autentica natura di se stessi durante i riti misterici. Tutti poi testimoniavano che erano affiorati a nuova vita, risorti, ma non potevano spiegare come. Infatti fare esperienza del proprio inconscio è un fatto individuale, le vie sono molte, ma la rivelazione ha i medesimi effetti su chiunque: essere in pace con se stessi. Che significa percepire in sé il divino, quello splendore a cui le religioni hanno dato tanti nomi diversi.
Nella sua indagine Polito è partito dalla fine: si è chiesto cos’era la morte, perché nella nostra epoca la rimuoviamo. Ne proviamo terrore e, facendo come se non esistesse, l’abbiamo messa fuori dalla nostra vita. Mentre la morte è vita, perché l’immortalità è solo una condizione di qualcosa di non vivente. Se consideriamo che la morte è l’unico fatto certo della nostra esistenza, è sciocco non prendersene cura in modo da non farci trovare impreparati. Molti di noi sono attraversati dal grande dilemma se la propria vita sia compiuta o incompiuta, ma questa è solo l’ambizione tutta umana di perfezione che non possiamo raggiungere nello spazio di un’esistenza. E proprio una tale hybris, tracotanza, ci porta a soffrire di “ageofobia“, paura dell’età, caratterizzata dall’”ageismo“, il razzismo contro i vecchi. Rocco Casalino, portavoce di Luigi Di Maio, sostenendo che i vecchi gli fanno schifo, ha dimostrato la validità del ragionamento sin qui fatto: il suo approccio non gli permetterà di risalire dal proprio inferno per affrontare la vecchiaia a cui anche lui arriverà, sempre che non pensi di andarsene prima.
«Mi sono convinto – spiega Antonio Polito al Piccolo - che solo una vita buona e giusta possa condurre a una resurrezione, pure laica». Per un uomo di cultura, è la cultura la vera religione perché essa appaga la coscienza, offrendo risposte e indicazioni per tramandarla.
Ognuno di noi può cominciare il suo progetto di immortalità coltivando il ricordo, che è quel qualcosa che possiamo lasciare e che non morirà mai. È la sola forma di immortalità di cui abbiamo contezza, come ci hanno insegnato gli antichi greci. Polito auspica un “nuovo umanesimo“, che rimetta al centro l’uomo e la sua consapevolezza del limite, perché l’edonismo, il conseguimento del piacere immediato attraverso una vita comoda e la perfezione estetica, non è l’eudaimonismo, la ricerca di un buon dio interiore che può durare tutta la vita. Ma ne vale la pena: porta alla felicità. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo