Correre aiuta a vivere meglio ma la felicità è un’altra cosa

In “La filosofia del running, spiegata a passo di corsa” edita da Mimesis, Luca Grion indaga i nessi tra sudare e pensare



Chi si alza alle cinque di mattina, pioggia o sole che sia, per correre un’oretta di prima di andare al lavoro conosce bene quella sensazione di appagamento, di stanchezza felice che la pratica della corsa di resistenza porta con sé. La assapora sotto i fumi della doccia, mentre il corpo raduna le energie per affrontare la giornata, la custodisce sotto la pelle e ne sente la mancanza, quando gli tocca saltare la quotidiana uscita in scarpe da ginnastica.

Una piccola dipendenza che gli scienziati hanno spiegato tirando in ballo le endorfine, quelle sostanze prodotte dal cervello che inducono il buon umore.

Tutto questo è ampiamente noto, come è noto che la corsa faccia bene al sistema cardiovascolare, aiuti a perdere qualche chilo di troppo, avvicini alla natura e, perché no, appaghi il piacere della convivialità se praticata con gli amici.

Ma c’è un aspetto della corsa che è poco scandagliato e che rappresenta un livello superiore rispetto a tutte le buone ragioni per cui si corre elencate poc’anzi, e che traccia una divisione tra il jogger, appunto lo sportivo che suda e basta e il runner, quello che suda e pensa.

Per quest’ultimo infatti, sostiene Luca Grion, professore associato di filosofia morale all’Università di Udine, (e maratoneta egli stesso) la corsa non è solo una pratica sportiva, ma una vera e propria meditazione filosofica che comincia dalla domanda iniziale: perché si corre? Riflettere su cosa si fa cercando di coglierne il senso è il primo vagito del filosofo che è in noi ed è proprio da qui che prende le mosse “La filosofia del running, spiegata a passo di corsa” (Mimesis, pagg. 140, Euro 12,00), un libro di filosofia vero e proprio - non un manuale sportivo - che spiega come la pratica della corsa serva alla formazione del carattere, alleni, oltre ai muscoli, a prendersi cura della propria anima. Come? Facciamo un esempio, prendiamo le condizioni meteo: accettando, giorno per giorno ciò che non può scegliere, il runner accoglie il presente per quello che è, anche quando non corrisponde esattamente ai suoi desideri e si allena a confrontarsi con quello che ha davanti, senza cercare illusorie evasioni.

La vita, ammonisce Grion, dovrebbe imparare dall’esperienza della corsa perché attraverso di essa si rivelano elementi essenziali della condizione umana: il legame tra bellezza e fatica, i valori della disciplina e dell’ascolto di sé, il nesso tra libertà e regole. Senza dimenticare che non sono le cose, né i risultati, né la prestanza fisica che possono renderci felici. Per questo, ogni tanto, anche per il filosofo corridore soprattutto a tavola, è sano – oltre che piacevole – qualche strappo alla regola. —



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