Così Rommel vinse a Caporetto

Libro della Leg da oggi insieme a “Il Piccolo”
Seguire il racconto di
Erwin Rommel
sulla sua partecipazione alla battaglia di Caporetto, significa «mostrare l’evolversi dell’azione che portò allo sfondamento del fronte della 2.a armata italiana, visto attraverso l’occhio esercitato e l’acuto spirito di osservazione di un protagonista di quegli eventi». Lo scrive lo storico
Marco Cimmino
nell’ampia introduzione al libro di Rommel “
Fanteria all’attacco a Caporetto - Ottobre 1917” (Libreria Editirce Goriziana, pagg. 211, tredzione di Giorgio Cuzzelli)
, libro
nelle
edicole da oggi assieme a
“Il Piccolo” al prezzo di 9,50 euro più con il giornale.
Della sconfitta di Caporetto si parlerà molto da qui al 24 ottobre, centenario di quella che in Italia viene considerata la disfatta militare per antonomasia, tanto che il nome della località oggi in Slovenia è diventato sinonimo di ogni tracollo avvolto da fatalismo. In realtà, come osserva Cimmino, di fatale ci fu ben poco: la sconfitta della dodicesima battaglia dell’Isonzo si deve da un lato all’ottima strategia messa in campo dalle forze austro-ungariche e tedesche, dall’altro dagli errori tattici e strategici delle forze italiane. La responsabilità, nota ancora lo storico, in definitiva fu tutta del generale Cadorna e della sua anacronistica «convinzione della necessità di attaccare a oltranza, insieme al concetto, morale più che tattico, della difesa fino all’ultimo uomo». Il danno maggiore, per altro, andò al di là della sconfitta sul campo. Se «per solito gli errori si devono attribuire ai vertici, per linea di comando», nel caso di Caporetto «fu un autentico scaricabarile che intraprese il percorso a ritroso, per le vie gerarchiche, rovesciandosi dai comandanti sulle spalle dei subalterni, fino a ricadere sulla truppa».


Nell’ottobre del 1917 Erwin Rommel aveva solo 26 anni, «ma era ormai un incallito veterano: aveva combattuto su tutti i fronti, dalla Mosa ai Carpazi ed aveva maturato un’esperienza notevole, sia di comando che di combattimento». Ed è indubbio che «la campagna che lo condusse alla testa di 6 compagnie di fanti da montagna Wüttemberg, da Tolmino fino ad Alano, nella valle del Piave, abbia rappresentato il suo capolavoro nella Grande Guerra». I termini di quel capolavoro li possiamo ora leggere in questo libro, tratto dall’edizione integrale di “Fanteria all’attacco”, memoriale che il futuro comandante dell'Afrikakorps utilizzò negli anni Trenta come testo didattico durante il periodo in cui insegnò alla scuola di guerra di Potsdam. È un testo tecnico e asciutto: Rommel «racconta semplicemente quello che ha visto, mantenendosi nel binario delle proprie impressioni, fino a dare notizia perfino della mancanza di dati». Ma le immagini a corredo del volume edito dalla Leg, le cartine esplicative, le glosse del curatore arricchiscono la trattazione tanto da calare il lettore nella congerie del tempo, attraverso luoghi per altro ben noti e che ancora oggi custodiscono tracce di quegli eventi. Come osserva ancora Cimmino nell’introduzione, se è vero che Rommel non è Ernst Jünger e che “Fanteria all’attacco”non possiede la formidabile nitidezza di “Nelle tempeste d’acciaio”, è anche vero che il suo rimane «un libro importante, non solo intendendolo come una sorta di
Bildungsroman
della futura “Volpe del deserto”, ma anche per la precisione delle annotazioni che, nella loro coincidenza con la più recente scuola interpretativa sulla battaglia di Caporetto, ci costringono a riflettere sul perché non si fosse giunti prima a certe conclusioni». Per la campagna dell’ottobre 1917 Rommel si guadagnò la decorazione “Pour le Mèrite”, la più alta onoreficenza prussiana, avviandosi a entrare nella leggenda. Poi sappiamo come, molti anni dopo, andò a finire. Entrato nelle grazie di Hitler come eroe senza macchia, nel 1944, di ritorno dall'Africa, Rommel non riuscì a fermare l'avanzata anglo-alleata in Normandia e, gravemente ferito, fu richiamato in patria per convalescenza. Da tempo cosciente dell'inevitabile sconfitta della Germania, partecipò al fallito di colpo di stato noto come Operazione Valchiria. Considerata la sua fama di eroe, in alternativa al plotone d’esecuzione Hitler gli promise che se si fosse suicidato la sua famiglia sarebbe stata risparmiata. Venne ufficialmente dichiarato morto per le ferite di guerra e gli fu attribuito un grande funerale di Stato.


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