Da Gianni a Giarizzole l’abc dei piatti triestini

Chiamatelo, se volete, effetto alcolimetro. È quello che spinge migliaia di persone, solitamente abbonate alle gite fuori porta con mangiata finale, a restringere i loro spostamenti all’ambito...
Di Furio Baldassi

Chiamatelo, se volete, effetto alcolimetro. È quello che spinge migliaia di persone, solitamente abbonate alle gite fuori porta con mangiata finale, a restringere i loro spostamenti all’ambito cittadino. Terrorizzati. Il nuovo proibizionismo marca i suoi effetti. Chiedere, per conferma, ai ristoratori del Carso. I cittadini, ormai classicamente considerati dei delinquenti potenziali quando si tratta di desinare, escono di casa malvolentieri e limitano i loro spostamenti. Alle sempre più estese aree pedonali del centro o, in misura crescente, alla stesse osterie rionali. Che, infatti, vivono un insperato rinascimento.

Prendiamo questa Trattoria Gianni, ad esempio. È solidamente incastrata nel cuore di Giarizzole, dove bisogna proprio andare perchè non ci sono motivi di passaggio o di altro tipo per farlo. A due passi dall’inceneritore, a dieci passi dallo stadio Rocco, raccoglie già di primissima mattina quell’umanità dolente che si appropinqua alla zona industriale. E vuole colazioni robuste e, soprattutto, salate. Di qui l’orario esteso, dalle 6 e 30 del mattino alle nove di sera! Ma non di soli “rebechini” si tratta. Qui ha diritto di ospitalità anche una cucina locale nella migliore accezione del termine, praticamente un libro di ricette triestine di cui si potrebbe fare l’appello nominale. Un’ampia lavagna vi ragguaglia sulle specialità fisse o del giorno. Piatti che il titolare Adriano Sfregola e il socio Roberto Persico hanno studiato a lungo, per mediare il classico conservatorismo locale, spesso incapace di uscire dalla schiavitù dei sardoni in savor o panadi, ad altre proposte, anche coraggiose, come i ravioli ripieni di cernia con gamberi e asparagi o il carpaccio di tonno affumicato con rucola.

Non volete rischiare? Buttatevi allora sugli istrianissimi fusi con gallina, sull’impepata di cozze come sulla ljublianska, se siete dei carnivori impenitenti. Il bello di “Gianni”, in effetti, oltre al valore aggiunto di proporre piatti della tradizione triestina che diversamente rischiavano di scomparire, è di essere sempre in grado di soddisfare i clienti più vari. È vero che il pesce fa la sua comparsa il giovedì, in partnership con la carne, e domina il solo venerdì, ma è anche vero che qui si ha a che fare con una clientela affezionata, domacia, che vuole certezze e non sperimentazione, sbava, magari per le polpette o gli spiedini di un banco rifornito, ama sperticatamente la “caldaia”, il cotto caldo, magari, al giovedì, gli gnocchi con sugo di selvaggina.

Sì, è vero: la triestinità a tavola, qui, è un valore, ed è importante annotare come un numero crescente di esercizi ne stia facendo una bandiera.

Il vino? Non manca, ma non aspettatevi voli di fantasia. Quello della casa è più che valido e dunque astenetevi dalle proposte astruse. Anche perchè, restando nel seminato, il vostro conto oscillerà tra i 10-15 euro di un menu di carne ai poco più di 20 di una paranza come si deve.

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