Da Travaglio ad Augias ecco il giornalista attore-scrittore

Non chiamateli attori. Perché attori non sono: il palcoscenico non è il loro mestiere. Ma dire che sono soltanto giornalisti o scrittori non basta. Perché hanno una marcia in più. Una marcia e una...

Non chiamateli attori. Perché attori non sono: il palcoscenico non è il loro mestiere. Ma dire che sono soltanto giornalisti o scrittori non basta. Perché hanno una marcia in più. Una marcia e una convinzione. Sono persuasi che storie, inchieste, reportage, non vanno affidati solo alle pagine dei libri, agli articoli di periodici e giornali, ai notiziari radiotv. A loro piace raccontarle anche dal vivo, quelle storie, davanti a una platea. Vogliono sentire l'effetto dell'adrenalina quando sono in scena. Cercano e ottengono l'applauso.

Stanno creando un genere, che il pubblico dei teatri mostra di gradire. Le sale li propongono in abbonamento. Sanno discorrere di storia e di cultura (Corrado Augias). Possono affilare le armi della oratoria politica (Marco Travaglio). A volte le loro attenzioni vanno a temi ambientali (Massimo Cirri). Altre, in compagnia di un musicista, sventagliano la loro conoscenza della musica (Andrea Scanzi). Federico Rampini si è aggiunto a loro.

Dopo teatro civile, teatro d'inchiesta, teatro di narrazione, è difficile trovare una nuova etichetta appropriata. Qualcuno ha cominciato a chiamarli "storyteller". Termine che vuol dire tante cose: lo storyteller è uno che conosce l'arte del narrare, un eccellente raccontatore ma, traducendo alla lettera, potrebbe essere anche un gran bugiardone. E si sa che una storia ben costruita, è il carburante del giornalismo.

Nelle trasformazioni che il teatro sta subendo in questi ultimi decenni ad opera di vecchi e nuovi media, questa degli storyteller, è una fra le più recenti. Anche se la specializzazione è antichissima. Storyteller erano i cantastorie e i giullari che nel Medioevo avevano il compito che oggi è di tv e giornali. E storyteller sono sempre stati i griot africani che si facevano portavoce, ambasciatori, interpreti, custodi della tradizione orale, parlando a tutto il villaggio dall'alto delle colline.

Nel mondo che Marshall McLuhan anticipò essere un "villaggio globale" (e internet è la sua immagine smaterializzata) degli storyteller c'è ancora bisogno, della loro capacità d'incantare. Che facciano informazione, critica sociale, o magari propaganda, è proprio questo che fa la differenza. (r. canz.)

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