Dagli aurighi alla pallacorda storia dello sport in Italia fra élite e palestre per tutti

Paul Dietschy e Stefano Pivato trovano un legame fra i giochi dell’antichità e i nostri giorni

la recensione



Il boato di centomila persone affacciate sull’enorme catino del Circo Massimo a Roma salutava la partenza dei carri. Era uno spettacolo grandioso che possiamo immaginare se pensiamo alle manifestazioni sportive che oggi riempiono gli stadi o ai circuiti di Formula uno. Gli idoli di questi ludi circenses erano gli aurighi, che prendevano stipendi da capogiro. Il Cristiano Ronaldo di allora, lusitano pure lui, si chiamava Dioclès e il migliaio e oltre di vittorie ottenute in carriera gli fruttarono più di 35 milioni di sesterzi. Una cifra enorme, tanto che non mancava chi si indignava per questi compensi, come Marziale e Giovenale, che consideravano questi spettacoli alla stregua di armi di distrazione di massa, panem et circenses. Ma non tutti gli intellettuali dei secoli successivi l’avrebbero pensata allo stesso modo. Leopardi dedicò uno dei suoi canti a Carlo Didimi, un professionista del gioco del pallone col bracciale che nel 1830 per una sua esibizione chiedeva non meno di 600 scudi, mentre un maestro elementare del tempo ne guadagnava dai 25 ai 60 l’anno. Negli Sferisteri, dove fino alla fine dell’Ottocento si praticava questo gioco ormai scomparso, si radunavano anche cinquemila persone intente a tifare e a scommettere sulle partite.

Giovenale non poteva certo dire, per censurare gli ingaggi da favola degli aurighi, “questo non è più sport”, perché la parola doveva ancora essere inventata. Ma affidandosi all’etimologia del termine latino “deportare”, che voleva dire uscire dalle porte per dedicarsi alle attività ludiche e che è alla base della parola inglese sport, vi sono storici convinti si possa parlare di sport anche nell’antichità. Come Paul Dietschy e Stefano Pivato, che nel loro “Storia dello sport in Italia”(il Mulino, pagg. 280, Euro 21,00) ravvisano un’unica matrice tra le gare di corsa, lotta e pugilato in cui si sfidavano gli Etruschi e le medaglie di oggi di Federica Pellegrini. Il saggio non indaga record o risultati, vittorie o sconfitte, ma analizza come l’evoluzione del costume e della società influenzi la pratica sportiva, e come la storia dello sport sia la cartina di tornasole dello sviluppo economico e sociale del paese.

Vero fenomeno di massa tra i Romani, che avevano molta attenzione per la cultura del corpo, e che attirò l’attenzione anche del medico di Marco Aurelio, Galeno, autore di un trattato sulle virtù terapeutiche del gioco della palla, lo sport cadde nell’oblio durante i secoli bui, per riaffiorare nel Rinascimento, ma in forma elitaria. Nel suo “Cortigiano”, Baldassarre Castiglione educa il perfetto gentiluomo al gioco della pallacorda, progenitore del tennis moderno, dell’equitazione e della scherma. Erano sport per le èlites, mentre il popolo si radunava alle partite di calcio fiorentino, una zuffa regolata nella quale trovava sfogo la rabbia sociale. Siamo a un punto di svolta: lo sport si trasforma quando, con l’introduzione delle regole che diffondono i meccanismi di autocontrollo, diventa uno dei mezzi per ridurre la violenza sociale. Un’interpretazione che deve molto a Norbert Elias e al suo mettere in relazione la codificazione delle regole nella caccia alla volpe e nel cricket con l’affermarsi del parlamentarismo in Inghilterra. Nell’Ottocento ginnastica e sport costituiscono due dei principali luoghi di costruzione della nazione: la patria si difende con l’esercito ma anche con la preparazione atletica. Più tardi il fascismo fa dello spirito competitivo il centro di un progetto di trasformazione antropologica della nazione, ma il vero cambiamento arriva solo col benessere. Disponibilità economica e tempo libero lanciano gli italiani sui campi da sci e in barca a vela. Intanto con l’urbanizzazione il calcio assume l’egemonia sugli altri sport e alla mobilità lenta della bici si sostituisce la velocità delle automobili. Lo sport torna di massa, la cultura del corpo dei romani si riaffaccia nelle palestre di oggi. —

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