Dai Monty Phyton all’Artico ritorna “Il mistero dell’Erebus”

L’attore Michael Palin, appassionato di storia, ricostruisce la vicenda della nave della spedizione Franklin del 1846 il cui relitto è stato ritrovato nel 2014

Paolo Marcolin

L'impresa era di quelle apparentemente impossibili. E perciò quanto mai intrigante. Non solo prometteva pericolo e adrenalina a fiumi, ma esigeva coraggio, disciplina e preparazione. Ora che erano finite le guerre napoleoniche e la Royal Navy aveva smobilitato, licenziando migliaia di marinai e ammainando le vele a molte navi, ricoverate un po' malinconicamente nei cantieri di Plymouth o del Galles, l'Inghilterra cercava nuove imprese per lucidare il suo orgoglio nazionale. La geopolitica si stava spostando sul campo delle scoperte scientifiche e di quelle geografiche. Così, intorno agli anni quaranta del Diciannovesimo secolo Londra volse lo sguardo lassù, al Polo Nord, dove i ghiacci imprigiovanano un continente e dove quelli che si avventuravano a caccia di balene riportavano racconti di nebbie, gelo, venti e desolazione. Ma anche la possibilità di trovare tra le banchise polari un pertugio, una via d'acqua che aprendosi nel breve tempo del disgelo, portasse dall'altra parte, verso l'oceano Pacifico, la Cina e l'India. La scorciatoia aveva un nome, passaggio a nord ovest e significava rendere più veloci i commerci con l'oriente, battere la concorrenza, aumentare a dismisura il prestigio e la supremazia nazionale. Chi l'avesse trovata avrebbe avuto onori e gloria, un po' come sarebbe stato un secolo più tardi per la conquista dello spazio.

Gli esploratori della Erebus tentarono l'impresa ma furono respinti, sbaragliati dal ghiaccio. Meritano l'onore delle armi come lo merita la nave che si incagliò tra i ghiacci, vi rimase intrappolata per un anno e mezzo e poi scomparve, inghiottita dalle acque polari. L'equipaggio la abbandonò tentando una impossibile traversata di mille chilometri lungo il deserto di ghiaccio. Un suidicio annunciato.

Una storia, quella dell'Erebus, che ora viene raccontata anche da Michael Palin, che con “Il mistero dell'Erebus. Storia di una nave” (Neri Pozza, pagg. 416, euro 19) ha scritto un libro che ha il sapore delle avventure del capitano Hornblower, e non è difficile immaginare il comandante John Franklin con il volto di Gregory Peck, anche se il suo fu un destino infausto.

Palin non è uno storico di professione, ma un uomo poliedrico. Attore, comico, presentatore televisivo e sceneggiatore, è celebre per essere stato tra i fondatori dei Monty Phyton, il gruppo comico britannico attivo fino agli anni Ottanta. La scintilla è scattata nel 2014, quando, grazie allo scioglimento dei ghiacci, una spedizione del National Geographic individuò con uno scan sonar un relitto a soli dodici metri di profondità. Era l’Erebus, che giaceva là sotto dal 1846. Ai sommozzatori il relitto si presentava come un grosso pesce sfilettato, lo scafo intero, i tre alberi spezzati, due eliche sprofondate nella sabbia, si intravedevano ancora l'argano di ghisa, alcuni lucenari e i bauli dove i marinai si sedevano durante i pasti. Tra gli altri reperti fu recuperato un flacone per medicinali che conteneva una pozione a base di zenzero giamaicano, che curava "reumatismi, indigestioni, emicranie e vertigini". L'Erebus fu scelta per tentare quell'impresa perché era una nave larga e pesante che però reggeva molto bene al beccheggio. Qualche anno prima aveva compiuto con successo una spedizione in Antartide, dove non era facile per un veliero sopravvivere alle insidie del clima e agli iceberg. Era stata poi equipaggiata con un impianto a vapore per scaldare l'acqua, viveri bevande per più di tre anni. Una biblioteca di quasi tremila volumi serviva a confortare lo spirito di marinai che erano soprattuto esploratori, botanici, scienziati. Il viaggio finì in tragedia. Ma in quell'anno e mezzo in cui rimasero intrappolati tra i ghiacci gli esploratori riuscirono addirittura ad allestire un pub sulla banchisa. Diavoli d'inglesi. —

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