Domenico Iannacone a Trieste inaugura il festival “Approdi”

L'arte dell'ascolto, le carezze alle fragilità dell'uomo. Dove termina il “talk” televisivo delle schermaglie e degli assalti allo share, inizia lo stile di Domenico Iannacone, il giornalista volto di Rai 3 ideatore di format di successo come “I Dieci Comandamenti” e soprattutto di “Che ci faccio qui”. Iannacone sarà a Trieste nella serata del 31 agosto all'auditorium del Museo Revoltella (20.30, ingresso libero) per inaugurare, assieme alla giornalista triestina Cristina Bonadei, la terza edizione di “Festival Approdi”, la rassegna multidisciplinare ideata dell'attore Lorenzo Acquaviva, progetto quest'anno intitolato “Sulla Terra e fuori dal mondo”, una sorta di contenitore di incontri ed eventi ambientati in vari teatri cittadini. Un viaggio insomma, di quelli abitati da persone ancor prima che da personaggi, dove il racconto non punta a nutrirsi di clamori ma di colori: «Sulla carta mi sembra un’operazione ben fatta – sottolinea Iannacone – ho accettato l'invito di “Approdi” in quanto ne intravedo un senso e io cerco sempre di fare cose che abbiano un “senso” proprio e che possano lasciare una traccia».
Cosa che è successa ai suoi programmi. A partire dai consensi in termini di ascolto sino al recupero di uno stile forse sopito in campo televisivo, dove le stoccate verbali e il culto della polemica hanno saputo lasciare il passo alla “quiete” dell'empatia: «Ho prediletto la chiave televisiva di un tempo – aggiunge il giornalista, che ha vinto cinque riconoscimenti del Premio Ilaria Alpi - con programmi in cui la comunicazione sia agevolata dall'ascolto e che ti conduca in un tessuto umano e culturale dove non è necessario giudicare, dove è possibile agire in uno spazio perennemente aperto, fluido e senza distacco».
Questa la rotta. L'approdo di Iannacone a Trieste inaugurerà la rassegna, suggerendo un recupero del “racconto della normalità” e dell'abbraccio alle fragilità che non abitano nelle prime pagine, temi che in chiave televisiva caratterizzeranno il nuovo corso di “Che ci faccio qui”, programmato a novembre con 25 puntate della durata canonica e altre quattro più estese, da incastonare in diverse fasce orarie. Non è certo nuovo a Trieste il cinquasettenne conduttore e giornalista molisano, transitato dalle parti di San Giusto e dintorni non solo di recente, in occasione di un’intervista al musicista Ezio Bosso quando era “maestro residente” del Teatro Verdi, ma sin dagli anni '80, quando il servizio di leva lo inquadrava nei ranghi del Gruppo Sportivo militare e il Carso diventava il teatro dell'addestramento al Triathlon, con mimetica e zaino. Forse lui stesso avrà pensato all'epoca “che ci faccio qui?” ma parte delle risposte non le ha mai scordate: «Ho amato molto Trieste e il clima che si respirava all'epoca – rammenta – una città di frontiera non solo bella ma aperta anch’essa a spazi, dialoghi e valori. Un luogo poi ritrovato in opere e testi, tra cui quelli di Claudio Magris».
E se il suo format diventasse anche una trasposizione teatrale? Sembra ben più di un’ipotesi, mentre il prossimo personaggio da raccontare e ascoltare, con illusioni, temi e patemi, è definito: «Si tratta di Vasco Rossi – confessa il giornalista – e non lo dico per una accentuata attrazione musicale quanto per la convinzione che lui non si sia mai raccontato veramente a fondo. Ci terrei molto a farlo».
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