Due sorelle dovranno fare i conti con i terribili segreti di famiglia

Il cinema ha osservato spesso storie di sorelle, complici o rivali, simili o agli antipodi. Poche volte però abbiamo incontrato sullo schermo una “sorellanza” viscerale e avvolgente come quella raccontata da Pablo Trapero in “Il segreto di una famiglia”. Il regista argentino ritrae la storia del suo paese, fra nuove e antiche contraddizioni, partendo da una vicenda privata. La trentenne Mia (Martina Gusman) è rimasta a vivere vicino ai suoi genitori in una grande residenza nella campagna argentina, chiamata La Quietud. Quando il padre ha un malore che lo riduce in coma, a casa torna anche Eugenia (Bérénice Bejo), la primogenita, che vive da quindici anni a Parigi. Nonostante la lontananza fra le due sorelle c’è un legame strettissimo, anche fisico: lo dimostra una lunga sequenza, fra le più erotiche del cinema degli ultimi anni, in cui le due condividono insieme nel letto le fantasie sessuali di quando erano ragazzine. Presto però, nella bucolica quiete della villa, cominciano ad agitarsi le frustrazioni e gli scheletri nell’armadio del piccolo gruppo famigliare. Eugenia è evidentemente la più amata dalla madre (Graciela Borges, un vero mito del cinema argentino), che invece è spesso in contrasto con Mia. Sul padre incombe una procedura giudiziaria per alcune procure sospette, legate ai tempi della dittatura. E a destabilizzare ulteriormente l’equilibrio della casa arriva anche, dalla Francia, il fidanzato di Eugenia. Tutti i nodi di un passato famigliare pieno di non detti verranno al pettine, intrecciandosi con la Storia pubblica del paese.
Dall’esordio con “Mondo Grua”, nel 1999, al meraviglioso “Il clan” (2015), Trapero continua a rivelarsi uno degli autori più importanti del cinema argentino. Qui, però, fa ancora un passo oltre: intesse in un affascinante microcosmo femminile una sottotrama di ferite nazionali mai rimarginate. Il suo è un cinema capace di atmosfere incantate e infantili, ma al contempo durissimo, fatto di luoghi e di corpi, passionale e materico: non a caso, alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, ha vinto un meritatissimo Leone d’Argento per la miglior regia. A rendere il film indimenticabile sono anche le due eccezionali interpreti: Martina Gusman, moglie del regista nella vita reale, e Bérénice Bejo, argentina naturalizzata francese che, come il suo personaggio, era emigrata con la famiglia a Parigi da bambina, nel periodo della dittatura. Nel melodramma di Trapero tutto funziona: i tre ritratti al femminile ricchi di chiaroscuri e di segreti, il lento dispiegarsi di un’epopea famigliare che nasconde un colpo di scena, soprattutto l’evolversi del rapporto intricato e ricchissimo tra le due sorelle. Tutto è immerso in un “esterno di famiglia”, quello della campagna nei pressi di Buenos Aires, che diventa personaggio aggiuntivo del film, nel fogliame, negli ampi giardini, nelle colazioni sull’erba. Ma è soprattutto la casa, il nido racchiuso fra le mura borghesi della villa, denso di dettagli scenografici, a raccontare con eloquenza il vissuto intimo ed emotivo del gruppo. Un capolavoro in stato di grazia, assolutamente da non perdere.
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