E Fouché, l’inventore della polizia politica morì povero a Trieste

Traditori, voltagabbana, camaleontici, cinici, opportunisti, spregiudicati dissimulatori. Si sprecano gli epiteti quando si parla di Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord (1754-1838) e Joseph Fouché...
Di Pietro Spirito
Joseph Fouché, called Fouché de Nantes (1759-1820), French politician. Coloured engraving. --- Image by © adoc-photos/Corbis
Joseph Fouché, called Fouché de Nantes (1759-1820), French politician. Coloured engraving. --- Image by © adoc-photos/Corbis

Traditori, voltagabbana, camaleontici, cinici, opportunisti, spregiudicati dissimulatori. Si sprecano gli epiteti quando si parla di Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord (1754-1838) e Joseph Fouché (1759-1820). Il primo fu al servizio della monarchia di Luigi XVI, poi della Rivoluzione francese, quindi dell'impero di Napoleone Bonaparte e poi di nuovo della monarchia; dotato di spiccata intelligenza e fiuto politico fu, assieme a Metternich, il vero regista del Congresso di Vienna, che ridisegnò il puzzle dell’Europa dopo il tramonto di Napoleone. Durante la sua lunga vita gli vennero affibbiati diversi soprannomi, tra cui "Il diavolo zoppo" e "Lo stregone della diplomazia". Il secondo, Joseph Fouché, duca d’Otranto, fu deputato alla Costituente e poi ministro di polizia, ed è considerato il fondatore della moderna polizia politica. Il suo nome è per altro legato a filo doppio con Trieste, dove fu prima governatore delle Province Illiriche e, in seguito, spedito in esilio dalle corti europee a causa della sua ormai pessima fama. Proprio a Trieste Fouché morì praticamente solo e in povertà.

Ma chi erano, in realtà, Telleyrand e Fouché? Solo spregiudicati personaggi legati alla poltrona, o non piuttosto politici al servizio prima di tutto della Francia, e di un’idea molto moderna di Europa? La loro storia la racconta ora Alessandra Necci nel suo nuovo libro “Il Diavolo Zoppo e il suo Compare” (Marsilio, pagg. 662, Euro 19,00), ovvero “Talleyrand e Fouché o la politica del tradimento”. Del libro si parlerà al Festival èStoria sabato, alle 10.30, a Palazzo De Bassa, nell’ambito dell’incontro “1789-1848: una nuova gioventù”, assieme agli storici Virgilio Ilari e Luigi Mascilli Migliorini.

Come ci ha già abituato in altri libri quali “Il prigioniero degli Asburgo. Storia di Napoleone II re di Roma”, Alessandra Necci tratteggia le figure di Talleyrand e Fouché in un racconto che è un grande e colorato affresco dell’epoca, sempre attento a cogliere non solo il nocciolo dei fatti ma anche le psicologie dei personaggi, che fa letteralmente rivivere per il lettore.

E il suo giudizio, alla fine del libro, non ammette repliche: a Talleyrand e Fouché è interdetto l'accesso agli immortali. Eppure il tradimento è uno dei motori della Storia.

«Sono in molti - risponde Alessandra Necci -, a considerare il tradimento politico più simile a un cambio di strategia che a un cambio di casacca. Il tradimento, infatti, è spesso giustificato in nome del "bene comune". E certamente Talleyrand e Fouché sono molto più di due semplici girouettes, "banderuole": sono due personaggi straordinari, proteiformi, duttili, poliedrici, che hanno cercato di influenzare gli eventi e la Storia, senza limitarsi a subirli. So bene che, come dice proprio Talleyrand, "En politique et dans les affaires, ni sentiments ni ressentiments": ma la mancanza di sentimenti esclude innanzitutto la riconoscenza, che a mio parere è importante in ogni campo, persino in politica. È per questo, che, secondo me, l'accesso agli immortali è interdetto ai due politici».

A Trieste Fouché ricoprì per un breve periodo la carica di governatore delle Province Illirche, che lei definisce "regno da operetta".

«Non sono io a definire l'Illiria "un regno da operetta", ma Stefan Zweig, illustre scrittore mitteleuropeo, nella sua biografia sul Fouché. È vero infatti che Fouché lavora bene in quei mesi, ma non può far nulla per contrastare lo sgretolamento dell'impero napoleonico, sgretolamento al quale ha potentemente contribuito insieme al suo "compare" Talleyrand. De Waresquiel, nella sua biografia, lo chiama "governatore delle provincie morte" e ammette che "c'è qualcosa di funebre, nei rapporti che Fouché intrattiene con le Province Illiriche". L'ex rivoluzionario è un uomo abituato a gestire le fasi di transizione, lo fa molto bene, e in questo risiede parte della sua grandezza».

E qual era la sua ricetta a Trieste e nelle Province?

«Fouché agisce con attivismo e zelo, difende l'impero morente ma al tempo stesso soffia sul fuoco della ribellione generale. Cerca alleati fra gli uomini del passato e quelli dell'avvenire, utilizza per fini personali il denaro dello stato, tenta di ingraziarsi i funzionari. Vuole innanzitutto mantenere la pace, rassicurare le popolazioni diverse che abitano il territorio su cui "regna", per cui diminuisce la pressione fiscale, fa liberare i prigionieri politici, si ingrazia la nobiltà locale. E fa quello che ha sempre fatto, manipola la pubblica opinione, si serve della stampa, rassicura ben sapendo che non può mantenere ciò che dice».

Questa sembra di averla già sentita...

«In effetti Talleyrand e Fouché sono molto moderni, nel modo di intendere il potere, ma al tempo stesso sono la personificazione, la metafora di un certo tipo di uomo politico, che sopravvive e si salva sempre, o quasi, a discapito di ideali e fedeltà. Balzac, che li ammira molto, definisce il primo "fondatore della diplomazia" e il secondo "del governo". In un certo senso, "fanno e disfano i troni". Alla fine, però, la loro attitudine al tradimento diventa un boomerang: nessuno dei due sarà in grado di comprendere Luigi XVIII, né tanto meno capiscono che sarebbe stato infinitamente meglio, per loro, avere una reggenza con Maria Luisa e Napoleone II. Proprio questa attitudine a "prestarsi sempre e non darsi mai" costituisce il loro grande limite».

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