E Leonardo Sciascia scoprì la Jugoslavia «Un paese plurale»

«identità plurale», per il tentativo di saldare in un organismo comune diverse individualità collegandole ma anche cercando di garantirne uno sviluppo autonomo. Da tutto ciò veniva stimolato a effettuare confronti e collegamenti tra quel modello e la situazione italiana e siciliana.
Questo volume è ricco di contributi diversi. Tra gli altri, si possono ricordare un articolo di Lisa Gasparotto su Luciano Morandini e il contesto culturale e politico friulano tra anni Cinquanta e Sessanta (nel quale - e dal quale - si sviluppò anche il rapporto di Sciascia con il mondo sloveno e quello jugoslavo), e alcuni contributi (di Neža Pahovnik e Petra Špeh, di Martina Ožbot, di Sanja Roj„, di Željko Ðuri„ e Danijela Janji„, di Alessandro Cinquegrani) sugli scrittori jugoslavi oggetto dell'attenzione di Sciascia, sulla fortuna di Sciascia nella pratica traduttiva e nella critica in Slovenia, Croazia, Serbia, e sugli interventi di Sciascia sulla letteratura jugoslava. Un vasto corredo iconografico (a cura di Francesco Izzo) arricchisce il volume (c'è anche una foto di Sciascia che tiene una conferenza, per il Centro italiano di Cultura, al liceo "Combi" di Capodistria, sul tema Vita e cultura in Sicilia).
Il volume è così denso di contributi che è impossibile rappresentarlo nel dettaglio. Va ricordata, in ogni caso, non solo la centralità della presenza di Zlobec (anche attraverso una splendida intervista di Giovanna Lombardo del dicembre 2011) che guida il lettore a cogliere le ragioni degli interessi di Sciascia verso quel mondo. Interessato all'impegno civile, alla ricerca di una libertà al di là delle imposizioni ideologiche, alla esigenza di mantenersi aperti all'utopia anche in condizioni difficili di crescita sul versante materiale come su quello politico, a una ricerca di miglioramento «dello stato sociale, seppure in condizioni molto povere e molto ristrette». Di particolare valore e qualità sono i testi di Sciascia su scrittori e artisti figurativi e su altri temi toccati dal volume. A partire dall'Autopresentazione, inviata a Zlobec nel 1961 per la serie di trasmissioni di Radio Lubiana sugli scrittori italiani. Un testo di particolare valore sia per le dichiarazioni riguardanti la propria opera sia per il chiarimento del significato del titolo del volume di prossima pubblicazione (“Il giorno della civetta”) ripreso da Shakespeare, per sottolineare che «questo fenomeno delinquenziale che è la mafia, che prima agiva nascostamente, segretamente, ora, grazie a determinate complicità politiche, agisce senza più nascondersi nella vita del popolo siciliano: ed è una grande forza negativa per il rinnovamento e il progresso cui la Sicilia è avviata».
Interessanti, anche, sia gli interventi giornalistici sul pittore croato Oton Gliha (che dipinge le groma›e, «cioè quei muretti e terrazzamenti a secco con cui il contadino del suo paese strappa alla roccia carsica la terra coltivabile, così come il contadino siciliano alla pietra lavica») sia quelli su Jaki (Joza Horvat) la cui origine (un paese oggi in territorio ungherese) stimola Sciascia a riflessioni sulla frontiera: «...sembra che le frontiere siano l'elemento dell'assurdo che primamente e principalmente abbia ferito quest'uomo: le frontiere tra i popoli, tra le religioni, le ideologie, i sessi, gli individui. Diplomatici e militari spostano su una mappa una linea di confine: una distratta concessione, un tratto di penna e l'uomo entra nella minoranza, cioè in una sorta di minorità e minorazione umana. Il primo anello della catena, della lunga catena delle minorazioni umane: fino all'annientamento». Fondamentale, del resto, nella prospettiva di un senso di fratellanza e di collaborazione tra gli uomini, utopia da opporre alle guerre e all'oppressione politica, sono le splendide pagine di Sciascia su Ivo Andri„, il cui “Ponte sulla Drina” venne recensito da Sciascia una prima volta su "Mondo Nuovo" nel marzo 1961, prima dell'attribuzione del Nobel allo scrittore jugoslavo. Una recensione dove, illuministicamente, le qualità di Andri„ venivano riassunte nel binomio «saggezza»-«ragione»: «È il libro di un uomo saggio che, nella misura in cui ha coscienza del passato, vive e sente il presente e ha fede nell'avvenire. Andri„ crede nella ragione degli uomini: e se racconta la storia di un luogo e di un tempo in cui la vita fu inconsciamente ragionevole, in grazia di quel ponte gettato tra le due sponde della Drina, tra l'oriente e l'occidente, è perché crede che il mondo intero può diventare, coscientemente, il luogo della ragione. In quanto rappresentazione di un ciclo storico articolato intorno al motivo della tolleranza e della comunione umana, questa è una delle opere narrative più profondamente socialiste che ci siano venute da paesi socialisti: forse appunto perché l'autore ha fatto a meno di quegli schemi, di quei paradigmi, di quelle regole che altri scrittori, di altri paesi, si fanno imporre o si impongono o semplicemente credono di dovere imporsi».
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