Ecco i “Works” di Vitaliano Trevisan

di PIETRO SPIRITO
C’era una volta il lavoro. O meglio, i lavori. C’era una volta, e forse c’è ancora, un Nord Est dove i soldi, . i schei, erano la forza propulsiva di ogni vita, tale da sottomettere valori e ideali. C’erano, prima del jobs act, dei vaucer, e del piccolo, strisciante neocapitalismo da tempi di crisi, giovani che dicevano no a tutto questo, pur essendone coinvolti, rifiutando i canoni di un conformismo sociale che oggi assume altre forme e corre sul Web. Ed è lì, negli anni Settanta, che inizia l’avventura dei “lavori” di Vitaliano Trevisan, raccontata in questa autobiografia romanzata di sapore holdeniano che appunto si intitola “Works”(pagg. 700, Euro 22,00), da oggi nelle librerie per Einaudi.
Più che un romanzo è un lungo, fluviale racconto pseudoautobiografico - «Tutto ciò che potrebbe incriminarmi è frutto d’invenzione», tiene a precisare l’autore in chiusura di libro -, il cui filo conduttore è l’indefessa, estenuante ricerca di un lavoro. O meglio, l’inevitabile bisogno di un impiego per raggranellare denaro, anche per uno che si chiede più o meno esplicitamente a ogni pagina: «Perché trovo sempre un lavoro?, mi dicevo, Perché non mi lasciano andare alla deriva in pace? Diventare un barbone. Una delle possibilità che contemplavo. Che contemplo tuttora».
Ma allora, per quanto precario nella patria del lavoro e del guadagno - la provincia veneta, in particolare quella vicentina - il lavoro si trovava. Perciò è sempre lì che, neanche adolescente, il protagonista inizia a lavorare in una fabbrica di gabbie per potersi comprare una bicicletta. E da allora, di lavoro in lavoro, come a scontare l’eterna condanna per i peccati che deve ancora commettere e che in effetti commetterà, ecco il nostro antieroe passare dal manovale («si trattava di demolire tramezzi e scorticare muri (...), e niente al mondo mi dava all’epoca altrettanta soddisfazione che demolire qualcosa») al costruttore di barche a vela, dal cameriere al geometra, dal venditore di cucine al gelataio in Germania, dal magazziniere al portiere di notte, passando per lo spaccio di droga (anche questo «è un lavoro») e il furto. E nemmeno quando, dopo tutta una serie di alti e bassi, compreso un fallito matrimonio, arriverà la fama con i primi libri (e poi il cinema) che risvegliano «tutto il sottobosco cultural-politico di provincia, professionale e non», ancora sarà il denaro l’unica bussola «al di là di ogni possibile soddisfazione personale, sentimento di cui ho sempre diffidato»). Dopo “Un modo meraviglioso”, “Shorts”, “Grotteschi e Arabeschi” Vitaliano Trevisan lascia i vecchi modelli alla Thomas Bernhard e trova una voce originale forte, dissacrante, divertente, tagliente per dare forma a un romanzo autobiografico che non si dimentica.
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