Edgar Morin: «Ci servono più matrimoni misti per una vera integrazione»

Da “Il pericolo delle idee”, dialogo tra Edgar Morin e Tariq Ramadan tradotto e curato da Riccardo Mazzeo, pubblichiamo una parte de “L’integrazione, la legge, la trasgressione, il perdono”, per gentile concessione delle Edizioni Erickson.
di EDGAR MORIN
In tutti questi problemi di acculturazione, di integrazione, il nodo, per non dire la salvezza, è il matrimonio misto. In Francia, la prima generazione di emigrati viene molto maltrattata. Gli italiani che arrivavano a Marsiglia vengono trattati in modo assolutamente orribile, nè più nè meno che i nordafricani oggi. Poi arrivano le leggi di naturalizzazione, i figli della seconda generazione frequentano la scuola pubblica, perdono il loro accento. Una tappa è raggiunta, ma i matrimoni avvengono sempre nello stesso ambiente, tra famiglie della stessa origine. Giunge infine la terza generazione e, con essa, la possibilità e la realtà del matrimonio misto.
Ho scritto la prefazione al libro di un algerino di seconda generazione, Abderrhamane Boufraïne. I suoi genitori, dei musulmani molto devoti, vivevano in una specie di campana di vetro culturale. Lui e i suoi fratelli vanno a scuola, diventano adolescenti e conoscono la tentazione della deliqnuenza, caratteristica di ogni adolescenza, ma che è suscettibile di consolidarsi in un giovane di periferia che si senta rifiutato e che non venga ascoltato. Lui non è precipitato grazie all’intervento di due fattori aleatori: una donna francese che lo ha amato e un datore di lavoro che lo ha assunto retribuendolo con un salario decoroso. Risultato interessante, si dichiara «al cento per cento algerino e al cento per cento francese», ma non bisogna perdere di vista che questo risultato è legato a due alee! È una cosa positiva quando accade.
Non è dunque tutto perduto. Direi persino che oggi il prestigio di un Jamel Debbouze, di un Gad Elmaleh e di tutta una serie di stelle di origine magrebina testimonia, come l’introduzione della musica araba da qualche decennio (Oum Kalthoum è ormai venerata), fenomeni lenti di impregnazione culturale. Non si tratta più soltanto del couscous e delle merguez! Dei legami si intrecciano, dei matrimoni misti, talvolta relazioni positive di vicinato, si annodano. La «macchina da integrazione» alla francese non ha dunque funzionato così male poichè, ormai da decenni, spagnoli, portoghesi, italiani, polacchi - penso qui a tutti i minatori del Nord - vi sono riusciti. E i matrimoni misti hanno finito per coronare l’operazione. Certo, questa macchina funziona più difficilmente con l’esotismo etnico e religioso. Così gli asiatici, che vivono in un ambiente chiuso. Una popolazione di Shanghai è stata persino deportata durante la guerra del 1914, ai tempi della concessione francese; si sono fatti arrivare degli uomini a Parigi per lavorare nelle fabbriche. Queste persone sono restate qui, sono diventate maroquiniers nel quartiere del Tempio, si sono sposate tra loro... Ma i loro figli parlano un parigino perfetto! Tutti questi casi sono differenti, ma si tratta di persone che si sono stabilite in Francia senza davvero fondersi con ciò che hanno trovato. Sono riconosciute solo in parte.
L’origine delle difficoltà viene dalle nuove popolazioni. I neri, in quanto neri, incontrano più ostacoli dei magrebini. Conosco un nero nato a Marsiglia, un francese che cerca casa da tre anni e a cui regolarmente viene opposto un rifiuto! Queste difficoltà esistono. I creoli, di cui alcuni sono veramente neri, come quelli della Martinica, possono beneficialre di posti nella funzione pubblica, ad esempio alle poste, per il fatto che sono di nazionalità francese. L’integrazione professionale è possibile, ma essi hanno un’altra memoria, un’altra sofferenza rispetto a quelli arrivati dal Maghreb: la schiavitù. È un marchio orribile che essi conservano nell’anima e che, in un certo senso, fa perdurare un’alterità ignorata dai marocchini - e non penso soltanto ua personalità come Aimé Césaire o Patrick Chamoiseau. Vi è là una cultura caraibica comune a quella delle isole anglofone, ispanofone, francofone, fin sulla costa colombiana a Cartagena. È importnte che queste popolazioni sviluppino relazioni fra loro, che trovino qualcosa di più rispetto alla mera autonomia locale. La salvezza non consiste solo nell’essere riconosciuti meglio nel mondo francese, ma anche nell’integrarsi in una comunità naturale di cultura. Aggiungo che la fonte più viva della creatività letteraria di lingua francese si trova lì! Césaire, Fanon, Depestre, Chamoiseau! La sofferenza è una fonte di creatività.
I nodafricani, e soprattutto gli algerini, hanno subito, per quanto li riguarda, il marchio della colonizzazione e poi quello della guerra di indipendenza. Molti pieds-noirs, e questo spirito sopravvive nella Francia mediterranea, non hanno veramente digerito che i nordafricani si emancipassero e divenissero loro eguali. Temo che questo marchio necessiti di un più di una generazione per cancellarsi. Un giovane di terza generazione di una famiglia smembrata, in una periferia degradata, non ha talvolta altra risorsa per sopravvivere se non quella di unirsi a delle «bande», poichè esse sono la vera patria di questi giovani senza patria - ed è noto che una banda si trasforma facilmente in gang criminale. In ogni modo, questi rifiutati rifiutano coloro che li rifiutano, è questa la loro logica.
La scuola integratrice diventa una scuola disintegratrice, poichè tenta di inculcare loro qualcosa che sentono come assolutamente estraneo. La macchina che funzionava così bene grazie alla scuola funziona oggi molto male, perchè questa stessa scuola impedisce di integrarli.
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