“Eleganzissima” Drusilla Foer: «Dico ciò che penso, come Gaber»
Il 27 agosto all’Arena Alpe Adria di Lignano lo show della “nobildonna” creata da Gianluca Gori. «Parlo di temi importanti con la leggerezza dello show»

TRIESTE. Drusilla non è certo un nome contemporaneo.
E Foer non è propriamente un cognome italiano.
Eppure questa colta signora senese — lei dice «anziana», ma le dico che non è ancora il tempo per definirsi tale — ha in sè la contemporaneità e la capacità di essere internazionale, nel senso di apertura totale di pensiero che non è proprio un atteggiamento nostrano.
Meglio dare subito le utility del caso: “Eleganzissima Estate” lo spettacolo di e con Drusilla Foer sarà a Lignano Sabbiadoro, all’Arena Alpe Adria, il 27 agosto alle 21. È l’unica data messa in cartellone del tutto il Friuli Venezia Giulai. Biglietti su ticketone.it e info su www.vignapr.it.
Le va se curiosiamo nel suo varietà?
«Eccome no. Qualche anno fa “Eleganzissima” ebbe una genesi spontanea. Ultimamente ha preso pieghe inaspettate come i minestroni che non vengono mai uguali. Ho sviscerato e sviscero importanti tematiche del momento, ma con una leggerezza necessaria a definire uno show spensierato. Abbiamo sentito l’esigenza, sì, di riprenderci la scena dopo la pandemia con qualche riflessione in più, conservando le tracce della memoria, le canzoni, le denunce contro la violenza (delle donne), i pregiudizi, la guerra, cercando di capire cosa potremmo fare noi per inibire questo scorrere di sopraffazioni».
Ci viene in mente Gaber, la voglia di raccontare le ingiustizie un po’ come fa Drusilla, un teatro/canzone che da tempo mancava.
«Decenni fa dominava l’intelligenza artistica: Gaber, appunto come dice lei, che sapeva anche essere crudo e abrasivo, Jannacci, Dario Fo e tantissimo prima un tale Ettore Petrolini. Non le mandava a dire pure lui, eh. Io semplicemente dico ciò che penso. Ho l’età per poterlo fare cercando di mantenere alta la lievità, che non significa superficialità, ecco, mi raccomando. E non c’è mai comicità che non contenga al suo interno una sacca di dolore».
Sarei curioso, e non solo io, di conoscere meglio il suo passato. Trova che questo sia un atteggiamento invasivo? Ci racconta?
«Tempo fa scrissi un libro “Tu non conosci la vergogna” dove c’è parecchio di me. Per farla breve nasco in una famiglia borghese di Siena, ricevo un’educazione sentimentale, senza scomodare Flaubert, emancipata e libera. A casa mia si diventava maggiorenni appena si era in grado di procreare».
La sorella di suo padre faceva Drusilla, ma morì giovane.
«Eh già. Mio nonno produceva olio e raggiunse un accordo con una importante catena alberghiera americana e, pensi lei, firmò il contratto a Istanbul su un battello col nome Drusilla inciso a poppa. Mia nonna, donna di grande sensualità, si narra che quella sera della firma fece occhi dolci a un cameriere e il nonno, per marcare il territorio, se la portò in camera e nove mesi dopo nacquero mio padre e mia zia Drusilla. Non avrei potuto chiamarmi in nessun altro modo. Ah, vero, la zia. Se ne andò per una malattia tropicale, poverina».
Poi ne arrivò un’altra di zia, la Dora.
«Zia Dora lavorava al quality control della Columbia Picture a Los Angeles e fece anche la controfigura a Deborah Kerr, l’attrice famosissima di “Da qui all’eternità”».
È vero che lei aprì un negozio di vestiti usati a New York?
«Vero, vero. Nel Greenwich Village. Quando muore qualcuno tocca svuotare gli armadi e io dicevo sempre alle mie amiche: nel caso compro io. Sapevo della qualità dei loro abiti, tipo Caraceni e altre quotatissime griffe, e misi su un business misto a un salotto culturale. Ai miei clienti offrivo Chianti e pane con l’olio, ascoltavamo David Bowie ammirando i lavori fotografici di Robert Mapplethorpe. Ma si discuteva molto del razzismo, ahimè ancora ben radicato o delle prime reazioni forti delle comunità omosessuali. Tempi di grande fermento».
E ora dove vive Drusilla?
«Mi sono trasferita a Firenze, città culturalmente provinciale, ma ormai sono anziana e mi va bene».
Ah ma ce l’ha fissa, però, con quest’anziana. Senta, invece, splendido il suo monologo sanremese, quello sull’unicità, se lo lasci dire. Alla fine il suo successo ha fatto cadere il muro della resistenza al pensiero raffinato in tv.
«Mio padre diceva sempre che i politici non devono dare alla nazione quello che viene chiesto, ma quello che serve. Ci sono direttori di rete illuminati, per fortuna, che buttano dei semi, investimenti a lunga scadenza culturale per le prossime generazioni affinché non siano assuefatte dalla facile televisione».
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