Emma Dante porta in scena lo strip-tease dell’anima

MONFALCONE. Ritorna Emma Dante. Ritorna con il suo teatro. Vivo, pulsante, musicale, mai convenzionale. L'abbiamo vista creare personaggi al cinema (in quel suo bel film, "Via Castellana Bandiera"). Ha diretto melodrammi, mettendo in subbuglio anche La Scala (una controversa e applaudita "Carmen", diretta da Daniel Barenboim). Ha scritto scritto libri, anche di fiabe. Ma al centro del suo lavoro resta il palcoscenico, vetrina dell'esistenza, specchio del vivere collettivo, lo spazio di creazione dove lei è cresciuta e dove continua a conquistare pubblico e riconoscimenti. In tutta Europa.
"Operetta burlesca" è uno dei suoi recenti spettacoli. E il Comunale di Monfalcone, sala che si distingue per una programmazione che non è mai fotocopia di ciò che passa negli altri teatri, se l'è conquistato - con una piccola esclusiva - che di questo "striptease dell'anima", prevede una sola replica, domani, alle 20.45 nel cartellone ContrAzioni.
«Racconto la storia di una donna che nasce nel corpo di un uomo - dice - e in questo corpo non riesce a starci. Vive in provincia, lavora come benzinaio, ma la sua aspirazione è un'altra: una città, una la famiglia».
Se ritorna Emma Dante, ritorna anche la famiglia. Cuore tematico del suo lavoro, nido protettivo e inferno affettivo, nel quale si concentrano le relazioni che, moltiplicate da un gigantesco pantografo sociale, sono poi le relazioni che legano i membri di una comunità molto più grande. «Il vero nocciolo - dice - è dentro la famiglia: piccola cellula sociale che, sviluppata, dà come risultato il mondo. La famiglia del Sud dell'Italia, con le sue chiusure, i suoi tabù, è il mio laboratorio». Il teatro di Emma Dante è un prisma che riflette le molte facce di quei legami, spesso invisibili e morbosi, abbracci insostituibili e mortali, che lei, «l'indignata di Palermo» (così l'ha definita il quotidiano francese “Le Monde”) è riuscita ad esplorare. Drammaticamente a volte (basta un titolo, "Carnezzeria", che significa macelleria e indicava proprio il nucleo famigliare) e altre volte con la leggerezza di un ballo (come nel recente "Le sorelle Macaluso", che nel frattempo si sta trasformando in un film). Temi baciati dal suo carattere caparbio. Dal suo sguardo di duellante. «Faccio spesso spettacoli brevi. Mi piace l'intensità a teatro. Mettere lo spettatore davanti a un altrove, che spesso ha a che fare con la morte».
Al centro di "Operetta Burlesca", ci sono una storia e tema che Dante ha toccato altre volte: la permeabilità dei generi, la resistenza degli stereotipi sessuali, tutto ciò che in questi ultimi anni mette di fronte, con armi e polemiche in pugno, le opinioni sulla "questione gender". Tema nemmeno tanto nuovo, visto che se ne occupano film, libri, musica e televisione. Sull'argomento si è espresso perfino il Papa. «L'omosessualità, il travestitismo, la prigione che un corpo può rappresentare, sono argomenti che ho già trattato. A teatro non è difficile parlarne: il pubblico li accoglie, li segue, si immedesima persino. Paradossale è che quando rientra in casa, non ce la fa ad affrontarli nella realtà, nella vita quotidiana. Farli vivere sul palcoscenico è facile, difficile è farli entrare nella testa delle persone». Come in altri spettacoli, dove Dante ha preso di petto gli aspetti della criminalità organizzata - mafie, camorre - trasfigurati però dalla sua regia, che sembra inventare fiabe dai mille cassetti segreti, racconti ballabili dove il corpo è sempre in movimento. «Il ballo mette in bilico i corpi: sfidano la forza di gravità, rischiano di inciampare. Pietro, il protagonista di "Operetta burlesca", non balla a piedi nudi. Si muove su tacchi dodici. Precaria condizione di disequilibrio, ma è proprio questo che lo fa sentire vivo».
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