«Ennio Morricone sapeva misurare l’anima e le emozioni di un film»

Il trombettista triestino Mauro Maur e il musicista Alessandro Bevilacqua ricordano le collaborazioni con il maestro scomparso

Rossana Paliaga

Probabilmente non esiste persona che non leghi un’emozione forte alle sue musiche. L’elenco dei film ai quali ha dato una veste musicale immortale è impressionante ed è la misura di quanto Ennio Morricone sia entrato nella leggenda come icona di un patrimonio culturale globale. Probabilmente non gli interessava esserlo con uno spazio sotto i riflettori (che non ha mai ricercato), ma con la consapevolezza di aver fatto il proprio lavoro con professionalità, rispetto per gli artisti con i quali ha collaborato e per l’arte che ha rappresentato. Il suo premio più grande è stata la conferma di aver toccato la sensibilità di milioni di persone e di aver demolito il muro tra musica “alta” e musica “funzionale”, perché le sue colonne sonore non giocano sui meccanismi primari delle emozioni, ma sono opere d’arte che costruiscono il film quanto il montaggio e la sceneggiatura.

Morricone si era esibito in concerto a Udine nel 2012. Per quanto riguarda Trieste il legame è meno diretto, ma molto curioso e legato al film “C’era una volta in America”. Nell’estate del 1982 Gino Landi chiamò il poliedrico musicista triestino Alessandro Bevilacqua con una richiesta particolare. «Sergio Leone stava girando al Lido di Venezia e aveva bisogno di un’orchestra d’archi di aspetto poco italiano, che desse l’idea di un gruppo di musicisti di diversa provenienza, immigrati in America», ci racconta Bevilacqua. Che prosegue: «Ho reclutato immediatamente colleghi del Teatro Verdi e altri musicisti da diverse parti della regione e siamo partiti per Venezia. Avremmo registrato nel salone dell’Excelsior, dalla notte all’alba. Mi consegnarono il brano arrangiato da Morricone, che però era scritto per una dixie band. Probabilmente per una svista di qualche addetto l’organico richiesto non era compatibile. Dopo qualche momento di imbarazzo, essendo arrangiatore, ho proposto, con un certo timore, di risolvere riadattando il brano e questa singolare vicenda mi ha per sempre legato a un grande film e un grande compositore».

Morricone era trombettista e da sempre ha mantenuto un legame speciale con questo strumento, anche nella collaborazione con il musicista triestino Mauro Maur, solista di molte delle sue colonne sonore come La leggenda del pianista sull’oceano, Nuovo Cinema Paradiso e dedicatario del Concerto Ut per tromba e orchestra, nato sulla scia del complesso solo di tromba in Nel centro del mirino di Clint Eastwood.

Oltre trent’anni di collaborazione stretta e di amicizia sono scritti sulle dediche di molti spartiti, sui quali Maur ripercorre con noi ricordi personali e professionali. «Ci eravamo conosciuti nel 1985, quando ho preso servizio come prima tromba all’Opera di Roma, e da allora abbiamo condiviso concerti, registrazioni, viaggi, momenti di amicizia, però gli ho dato sempre del lei, fino all’ultima telefonata, anche se lui scherzava sul fatto che la differenza d’età non fosse poi così ampia», racconta commosso al ricordo del compositore. «Lo immagino ancora seduto nel buio dello studio durante le molte sessioni di registrazione. Le colonne sonore le incidevamo con le proiezioni mute delle scene, una luce sullo spartito e Morricone davanti a me. Aveva sempre l’immagine precisa del suono che voleva e nella tromba amava la lucentezza e la potenza».

La facilità melodica di Morricone, il senso della temperatura emotiva di una situazione erano così straordinariamente potenti da rendere le musiche, ultima parte nel processo di costruzione di un film, talmente protagoniste da legarsi indissolubilmente alla sua riconoscibilità. Lo conferma Maur: «Nelle colonne sonore sapeva esattamente che erano le scene deboli a dover essere rafforzate dalla musica, come sapeva fare un passo indietro nel momento di una scena o un dialogo straordinari. Questa sua capacità di gestione di quello che non era mai un semplice fondo sonoro era la chiave della sua eccezionale capacità di scrivere per il cinema. Inoltre sapeva scegliere i suoi film».

Il proprio necrologio Morricone l’ha voluto scrivere da solo, un gesto che resterà il sigillo più autentico sulla vita e l’opera di uno dei maggiori artisti italiani del secolo, più di quanto avrebbero potuto esserlo le celebrazioni solenni che tutti avrebbero voluto tributargli. Una scelta in linea con il suo carattere, come ricorda Maur: «Era una persona riservata, severa, molto presa dal suo lavoro ed estremamente esigente. Pretendeva la massima professionalità e nel privato si apriva con poche persone. Come i grandi è morto all’alba, lucido fino alla fine. Non è retorica dire che con lui finisce un’epoca». —

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