Ezio Sclavi, il portiere antifascista che diventò pittore dell’avanguardia

Portiere quasi per caso, pittore per folgorazione e di talento vero, volontario in Abissinia con un reparto di motociclisti, ma soprattutto laziale. È la straordinaria vita di Ezio Sclavi, raccontata da una biografia fuori dal comune di Fabio Bellisario per Eraclea, “Ezio Sclavi, portiere pittore” (pagg. 189, euro 16,50)un libro asciutto ma dal valore alla Osvaldo Soriano, una vita reale e dal coraggio fuori da ogni magia.
Sclavi, originario dell'Oltrepò pavese, ha 250 partite in serie A tra gli anni '20 e '30, quando giocare titolare in serie A non era cosa da poco conto: ma se i tifosi lo ricordano come bandiera biancoceleste e riserva in nazionale, è tutto il resto a rendere il fortissimo numero uno, il primo di una lunga serie, laziale qualcosa fuori dal comune. Nato nel 1903, militare a Roma diventa portiere per evitare la noia della naia: è antifascista, ha un fratello anarchico che combatterà in Spagna nel 1936, e viene rapito dalla pittura a fine anni '20, quando incontra i pittori di via Margutta e del Caffè Rosati di Roma. Conosce Corrado Cagli che gli farà da mentore e che lo incoraggerà a proseguire con la pittura e con lui avrà una profonda amicizia. Gioca a pallone e dipinge: taciturno, ombroso, fortissimo. Diverso dagli altri colleghi calciatori, nel tempo libero cura il settore giovanile della Lazio.
E dipinge sempre tanto: ma i quadri li regala, non li vende. E li espone, sul serio: vince premi, va alla Biennale di Venezia, è stimato. Poi la carriera piano piano declina, la Lazio lo molla e una brusca decisione: basta calcio. Si arruola per la Guerra di Etiopia. Sembra una decisione impulsiva e invece è mezza vita. Dopo la conquista si stabilisce ad Adis Abeba, continua a dipingere quadri bellissimi di donne e uomini africani, si mette in affari, ma la guerra ritorna, il Negus anche e Sclavi viene internato dagli inglesi in Tanganica. Prigioniero civile di guerra fino al 1947: undici anni senza rivedere Roma, la Lazio, l'Italia. Da prigioniero continua a fare le uniche due cose per le quali ha passione: giocare al calcio e fare quadri. Quando ritorna in Italia non sa che fare, dove andare, come vivere: e quindi se ne va dalla sorella ad Arma di Taggia, in Liguria. Lì vivrà il resto dei suoi giorni, proseguendo a dipingere, ricordando il calcio eroico e la Lazio, che è sempre nel suo cuore. Fa mostre, riceve critiche positive, vende. Muore nel 1968, a 65 anni. Pittore astratto ed informale, sperimentatore, chi oggi ha un suo quadro, ha un valore in casa.
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