Franca Leosini incontra Addamo e Miroslawa nella vita dopo il carcere
ROMA
La storia del crimine privato è passata attraverso il suo sguardo da attenta indagatrice dell'animo umano, pronta a scandagliare migliaia di pagine di atti processuali per «capire, dubitare, raccontare»: dopo aver affrontato, dal 1994, ben 98 «Storie maledette», Franca Leosini ricostruisce ora il destino di alcuni di quei protagonisti, provando a scoprire in che misura, dopo aver scontato la pena, siano riusciti a riprendersi la loro vita. 'Che fine ha fatto Baby Jane?' è il nuovo programma con cui la giornalista napoletana torna il giovedì su Rai3, il 4 e l'11 novembre. In uno studio di grande impatto visivo, Leosini ripercorre la vicenda umana e giudiziaria del protagonista della puntata, il cui volto è svelato solo quando lo spettatore viene riportato al presente: «L'idea - spiega - è raccontare il secondo atto della loro storia, capire come queste persone, responsabili di un gesto tragico spesso lontano dalla loro realtà umana, oggi libere o in regime di articolo 21 (il lavoro all'esterno del carcere, ndr), vivano il rapporto con la loro vicenda drammatica e con la società».
La prima puntata è dedicata a Filippo Addamo, che Leosini incontrò per la prima volta 17 anni fa, nel penitenziario Bicocca di Catania: aveva 23 anni, nel marzo 2000 aveva ucciso la madre Rosa con un colpo di pistola alla nuca. Da giugno 2019, dopo aver scontato per intero la sua pena, l'uomo è tornato in libertà. «Oggi si è rifatto una vita, si è costruito una famiglia, ha un bambino piccolo - dice Leosini - ma non ha superato la colpa, non è libero nell'anima: ci sono conti che non si chiudono».
L'altra protagonista è Katharina Miroslawa, che Leosini ha incontrato nel gennaio 2001 a Venezia, nel carcere La Giudecca. La bellissima ballerina polacca danzava nei night club, fino al giorno in cui, nel 1986, furono esplosi due colpi di pistola contro il suo amante, l'imprenditore Carlo Mazza, che in suo favore aveva stipulato una polizza sulla vita da un miliardo di lire. Un omicidio del quale la donna ha sempre negato ogni responsabilità ma per il quale è stata condannata come mandante a 21 anni e 6 mesi, nel 1993. —
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