Franck Venaille innamorato dell’ombrosa grazia di Trieste



Cosa ha a che fare il poeta francese Franck Venaille con Trieste? Venaille è tra gli autori in versi più apprezzati in Francia, Premio Mallarmé e Premio Goncourt 2017. Forse, come certe poetiche triestine, mette in luce il corpo, l’espressività della materia e del paesaggio, quella fisicità che esprime tutto lo spettro delle sue emozioni: dal dolore alla più schietta vitalità. Ma non è questo.

A un anno esatto dalla sua morte, per le Serate in Terrazza del Revoltella, avrà luogo l’incontro dal titolo “Un amour de Trieste: Saba e Franck Venaille”, domani alle 19, a parlarne saranno Anna Zopellari, Riccardo Cepach e Alessia Dagri. L’appuntamento è realizzato con il Museo Sveviano, il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università e l’Alliance Française di Trieste.

E di Trieste ha molto scritto Venaille, innamorato della città e dei suoi poeti, in primis Saba a cui ha dedicato un libro, edito da Seghers, e ne ha tradotto le poesie. Scrive in alcuni suoi saggi: «Può essere che sia venuto a Trieste unicamente per vedere questo luogo, questa vetrina, questa libreria…». Ma Venaille si spinge più in là, scriverà infatti un intero libro dedicato alla città, nel 1985, “Trieste” (Edizioni Ceyzérieu), dove in primo piano è il paesaggio, la sua atmosfera, i suoi caffè storici: «I caffè sono come i libri, basta entrarci per capire una città». Così quando si inoltra tra le mura neoclassiche del Tommaseo comprende che l’Austria non è lontana, nota che l’ombra della solitudine prevale un po’ su tutto. Soprattutto osserva che qui, a Trieste, si può rileggere Musil, ma forse solo Rilke «ha visto Trieste regnare sul mondo». E molto si affida a Rilke, Franck Venaille, in una sorta di sintonia dove trionfa (anche) una certa malinconia. Lo dice appunto nei suoi libri e nei suoi saggi quando cita versi e memorie del poeta austriaco, ricordando quanto si lamentasse della bora e, a proposito di solitudine, quando osservava che a Trieste anche la presenza di un cane gli sembrava di troppo.

In realtà Venaille aveva altre ossessioni letterarie, a quanto pare ne aveva parlato anche con Basaglia, come scrive in un numero della rivista “Critique”, nel 1983: «In uno dei padiglioni dell’ospedale psichiatrico, Franco Basaglia, signore veneziano alla rottura dell’Impero, mi parla di decadenza, morte e sopravvivenza. Nella nostra conversazione tornano due nomi, senza sosta, due pseudonimi, già questo significa qualcosa: Umberto Saba e Italo Svevo. Sono loro che sono venuto a cercare a Trieste. È attraverso loro che percepiamo meglio il destino di questa città tesa all’ombrosa grazia». —

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