Friedrich Löhner-Beda dal Paese del sorriso al lager di Auschwitz
Alessandra Scaramuzza racconta la vita e le opere del più amato librettista della scuola viennese

Alzi la mano chi non ha mai canticchiato “Tu che m’hai preso il cuor”. Sono esonerati dalla risposta i più giovani, ma gli altri sicuramente l’hanno fatto, magari senza sapere chi ne fosse l’autore. A colmare questa lacuna ci ha pensato la triestina
Alessandra Scaramuzza con «Tu che m’hai preso il cuor–Auschwitz non era “Il paese del sorriso”»
(Edizioni della Laguna, 238 pagine, 20 euro)
. Regista di teatro, lirica, cinema e tv, Scaramuzza affronta con una scrittura rigorosa e un’accuratissima documentazione la figura di un uomo che ha fatto cantare mezza Europa: Friedrich Löhner-Beda, prolifico autore di poesie, canzoni, operette, testi per il cabaret, musiche da film.
Frizt Löhner-Beda (cognome originale Löwy e Beda è un diminutivo usato in Boemia) nasce a Wildenschwert, cittadina tra Praga e Brno, nel 1883, regnante Francesco Giuseppe, da una benestante famiglia ebrea. Il padre, David, conscio che «le vie della capitale sono lastricate di cultura, mentre quelle delle altre città, d’asfalto» decide di trasferirsi a Vienna con tutta la famiglia. E in questo fertile humus, nel quale gli ebrei hanno un ruolo di primo piano, ne citiamo solo alcuni, Freud, Popper, Kraus, Zweig, Schoemberg, Mahler, cresce Fritz che il padre vuole avvocato. Ma il ragazzo ha ben altri propositi, manifestati con una lirica che “Gioventù – Rivista illustrata settimanale di arte e vita” ritiene meritevole di pubblicazione. Ha 17 anni e questi versi sono il suo manifesto: “Una volta un giovane curioso chiese al dio di Delfi chi fosse il più saggio tra tutti i mortali. “Il più saggio”, rispose l’Oracolo, “è l’uomo che sorride di tutto in questo mondo frivolo”. Da allora il giovane sorrise sempre di tutto. Ma non è mai diventato saggio”.
Se Vienna pulsa di vitalità ebraica pulsa anche di antisemitismo: nel 1896 Karl Lueger, capo del partito cristiano-sciale, che Hitler considererà il suo maestro, vince le elezioni e diventa Borgomastro. Vista l’aria che tira David Löwy decide di arianizzare il cognome in Löhner. Ma Fritz non ripudia le sue radici, anzi: all’università si iscrive all’associazione studentesca “Kadimah” fortemente sionista. Fritz scrive versi e testi graffianti e ironici su ebrei convertiti e assimilati.
Il padre muore, lui si laurea, però non indossa la toga e continua il suo impegno per la causa ebraica, collaborando col quotidiano liberal-progressista “Der Morgen Wiener Montagsblatt”. Fritz ama il calcio e fonda la prima associazione sportiva ebraica Ha’koah (La forza) e porta a Grado, dove tornerà spesso, la squadra di nuoto.
I primi passi nel mondo dello spettacolo li muove nel 1910 nell’ambiente che gli è più consono: il cabaret. A Vienna sono di moda e molto frequentati. L’elegante Die Hölle gli propone di collaborare e i suoi testi vivaci e brillanti conquistano attori e soprattutto soubrette, perché è favorevole all’emancipazione femminile. È ricercatissimo: i viennesi vogliono ridere anche se ballano su una polveriera. Dal cabaret all’operetta è passo è breve: il 3 novembre 1910 al Fledermaus va in scena la sua prima operetta “Der fromme Silvanus”, musica di Leo Ascher con il quale collaborerà a lungo, ma lo farà anche con altri compositori, tra cui Franz Lehar. L’autore de “La vedova allegra” gli propone di scrivere per lui un libretto, ma scoppia la Grande Guerra. Il loro sodalizio si svilupperà dopo il conflitto.
Parte soldato e la sua vena musicale diventa patriottica, scrive marce e testi di operette che sostengono lo sforzo bellico. Si sposa nel ’17 per non dare scandalo dopo aver messo incinta Anna Akselradi-Strassman che gli darà un figlio, Bruno. Il matrimonio durerà poco. Sempre nel ‘17 realizza la sua prima sceneggiatura cinematografica, “Der rote Prinz” dedicato all’arciduca Johann Salvator d’Asburgo, personaggio misterioso e affascinante. Una parentesi all’interno della sua prolifica produzione di operette.
L’Austria post bellica lo sconcerta. “I tempi nuovi non sono in sintonia con me” così inizia la sua poesia sulla repubblica, fatta da una grande testa, Vienna, e da un piccolo corpo, quel resta dei territori che avevano costituito il grande impero di mezzo. Nel Paese è diviso tra cristiano-sociali, socialisti, nazionalisti e liberisti. Il confronto è aspro e divide pure le città, Vienna soprattutto, dalla campagna e dai piccoli centri. Nella capitale si impone l’austromarxismo con tutte le sue divisioni e contraddizioni, il fronte reazionario è diviso tra i clerico-fascisti, capeggiati dal prete teologo Ignaz Seipel, che da cancelliere risana l’economia, devastata dal costo dei danni di guerra e dall’iper-inflazione, ma che non esita a utilizzare i paramilitari fascisti per reprimere l’insurrezione socialista del 1927 e i nazional-socialisti. C’è da credere che Friedrich non si ritrovi: lui è liberale, per ceto e personalità, e anti-marxista; è ebreo e quindi sia i clerico-fascisti, eredi del citato Lueger, e men che meno i nazisti gli vanno a genio.
Però, proprio nei vent’anni tra il 1918 e il 1938, Friedrich darà il meglio di sé. È un autore affermatissimo (l’elenco di tutte le sue opere che chiude il volume occupa quasi 40 pagine), le sue canzoni vengono eseguite dovunque: nei cabaret, nei teatri, sugli schermi e, ora, anche alla radio. L’ampia iconografia del libro ricrea gli ambienti e ci fa vedere le star dell’epoca. In grandissima parte sono ebrei. E il perché lo spiega bene Scaramazza citando Victor Léon, librettista viennese che affermò: «Il pubblico dell’operetta vuol ridere sotto le lacrime e questo è esattamente ciò che gli ebrei fanno da duemila anni».
Le melodie di Löhner-Beda danno agli austriaci, ma anche ai tedeschi, pure in Germania è una celebrità, quella leggerezza di cui hanno bisogno in tempi così bui. Non dimentichiamo la crisi del ’29, la prima che gli americani rifilano all’Europa, provoca tra l’altro il disastro della Creditanstalt, pagato dai contribuenti.
Però Friedrich la crisi non la sente, è milionario con i diritti d’autore delle sue produzioni, ma continua con l’impegno politico contro i nazisti, usando anche l’arma dei witz, le sue opere esaltano la vecchia Austria imperiale, i cieli tersi, la maestosità delle montagne, il mondo di ieri. Friedrich è felice anche perché ha incontrato l’amore: Helene Jellinek, sposata nel ’25, che gli ha dato due figlie: Liselotte nel 1927 ed Evamaria, nel 1929, alla sua nascita, al colmo della gioia, scrive per Helene “Tu che m’hai preso il cuor”, che fa parte dell’operetta “Il Paese del sorriso” composta con Lehar. Un successo enorme.
In Austria c’è poco da sorridere: la situazione si aggrava e Friedrich finisce per sostenere il cancelliere Dolfuss, catto-fascista, in funzione anti nazista. I suoi amici e i compagni di lavoro ebrei cominciano ad andarsene, lui non ne vuole sapere. L’Anschluss lo trova a casa sua. Viene arrestato e spedito a Dachau il primo aprile 1938, il 23 settembre viene deportato a Buchenwald. Non si abbatte, spera che la moglie riesca a tirarlo fuori da lì e con Hermann Leopoldi, scrive la "Canzone Buchenwald", su sollecitazione del Lagerführer, perché è risaputo che le canzoni di Friedrich piacciono al Führer. E la sua musica continua a essere diffusa ma il suo nome è cancellato. Non è più nessuno, è un numero tatuato sul polso, 68561, riesce ancora a scrivere poesie e canzoni, a rincuorare i compagni, intrattenendoli e riuscendo con i suoi witz a farli sorridere.
Il 17 ottobre del ’42 lui e molti altri prigionieri vengono deportati ad Auschwitz dove saranno gli schiavi del colosso chimico I.G. Farben, nato dalla fusione di industrie come la Bayer, l’Afga, la Basf, per citare alcuni nomi noti, per realizzare l’impianto di Buna, su cui ci scrive una canzone che diventerà l’inno di Auschwitz III. Ma comincia a dar segno di non farcela più, è denutrito, malato e forse intuisce che la sua Helene e le sue figlie non ci siano più. Sono state trucidate a Wolkowitz in Bielorussia dopo un viaggio allucinante il 31 agosto 1942. Il 4 dicembre Friedrich viene massacrato a bastonate dal kapò Joseph Windeck, morirà nell’infermeria.
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