Gabriella la partigiana ai ragazzi delle scuole: «Così si batte il fascismo»

Il personaggio
Le polemiche ricorrenti ogni anno sulla festa della Liberazione dimostrano quanto quei valori resistenziali su cui si fonda la nostra Costituzione non siano affatto un patrimonio condiviso come dovrebbero essere. Gli striscioni che inneggiano a Mussolini, i saluti romani, gli slogan razzisti e antisemiti, negli stadi ma non solo, aprono squarci inquietanti sull’ignoranza dei fatti storici a cui si fa superficialmente riferimento. Da qui l’importanza del ricordo, della memoria, ma anche dell’educazione, un compito a cui la scuola non può abdicare.
Per questo, proprio pensando ai ragazzi, è davvero prezioso il volumetto di Tina Anselmi pubblicato da Piero Manni Editore: “La Gabriella in bicicletta. La mia Resistenza raccontata ai ragazzi” (introduzione di Laura Boldrini, pagg. 128, euro 13,00). L’autrice, nata a Castelfranco Veneto nel 1927 e scomparsa nel 2016, è generalmente assai nota, ma forse non ai più giovani: nel secondo dopoguerra è stata tra i fondatori della Cisl (il sindacato di ispirazione cattolica), parlamentare della Democrazia Cristiana, prima donna ministro in Italia, prima del Lavoro e poi della Sanità (promuovendo il Sistema sanitario nazionale), presidente della Commissione d’inchiesta sulla P2.
”Gabriella” era il suo nome di battaglia come staffetta partigiana: per diversi mesi, dall’autunno del 1944 fino alla Liberazione, percorre un centinaio di chilometri al giorno per mantenere i collegamenti tra le formazioni partigiane, trasportando stampa clandestina, armi, messaggi. «C’era un pizzico di incoscienza – scrive – ma c’era soprattutto la convinta fiducia in quello che facevamo». Tale convinzione era sorta in lei, cresciuta nelle file dell’Azione Cattolica (dove si predicavano valori ben diversi da quelli propagandati dal regime fascista), da quel 26 settembre del 1944 quando, sulla piazza della sua Castelfranco, i tedeschi avevano impiccato 43 giovani partigiani, e tra questi il fratello di una sua compagna di scuola. Lo choc la spinge ad agire, anche se qualcuno la avvisa: «Se ti prendono i tedeschi, prega che t’ammazzino, perché altrimenti quello che ti faranno sarà peggio».
Nel libro si snoda, sotto forma di un’intervista fattale dalla nipote, il racconto avvincente di quei mesi cruciali per i destini del nostro Paese. A un certo punto le viene posta questa domanda: «Zia, cosa ti ha insegnato la Resistenza? Cosa vorresti oggi trasmettere ai giovani che hanno l’età che avevi tu quando eri la partigiana Gabriella? ». Questa la risposta: «La scoperta più grande fatta in quei mesi di lotta durante la guerra è stata l’importanza della partecipazione: per cambiare il mondo bisognava esserci. Questo è stato il motivo che mi ha fatto abbracciare l’impegno politico: la convinzione che esserci è una parte costitutiva della democrazia, senza partecipazione non c’è democrazia e il Paese potrebbe andare nuovamente allo sbando». Sul fascismo, sul nazismo e sulla loro valutazione storica non ci possono essere ambiguità. Ai giovani si tratta di far capire che cosa significherebbe per loro, concretamente, vivere in un regime autocratico (come è stato il fascismo) o sotto l’occupazione da parte di un Paese straniero (quale è stato per noi la Germania hitleriana dopo l’8 settembre del’43): cosa che il racconto autobiografico di Tina Anselmi fa molto efficacemente. Perché se fino a qualche anno fa il valore dell’antifascismo era patrimonio indiscusso di pressoché tutte le forze politiche in campo, oggi esso non appare così scontato. L’avanzare dei populismi e degli estremismi di vario stampo rende quanto mai urgente una chiarezza su questi temi: «Dobbiamo non perdere la memoria di quello che è avvenuto, di quello che abbiamo pagato, perché la storia si ripete, non c’è niente e nessuno che ci potrebbe salvare il giorno in cui noi questa storia la tradissimo proprio nella memoria». –
Riproduzione riservata © Il Piccolo