Giampiero Mughini: «Gli scrittori di Trieste, che squadra stellare. Da Svevo a Rosso, li univa la depressione»

Ventiduemila volumi in sette stanze della sua casa romana, duemila prime edizioni di autori del ’900. «Triestini eccezionali nel rapporto con la letteratura e con la vita. In Italia non hanno paragoni»
23/04/2019 Roma. Canale 5 Mediaset. Talk show televisivo Maurizio Costanzo Show, nella foto Giampiero Mughini
23/04/2019 Roma. Canale 5 Mediaset. Talk show televisivo Maurizio Costanzo Show, nella foto Giampiero Mughini

TRIESTE «La collezione di Playboy ce l'ha ancora?». Il tema della conversazione con Giampiero Mughini è la letteratura triestina, che lui conosce benissimo e di cui, da bibliofilo accanito, possiede tutte le prime edizioni. Parliamo naturalmente di quella degli anni d'oro, il periodo del primo Novecento cui qualche anno fa ha dedicato il libro “Una città atta agli eroi e ai suicidi” (Bompiani, 160 pagg., 15 euro). Ma prima di chiedergli chi sono questi eroi e perché lo abbiano colpito la prendiamo alla larga. Il personaggio, scrittore, giornalista polemista di tante trasmissioni tv che frequenta da protagonista da oltre un trentennio, si presta alla divagazione. E poi il ricordo di quella sua affermazione fatta durante una lontana trasmissione stimola una curiosità che forse adesso può trovare soddisfazione. «Ricorda male - risponde Mughini - non ho mai avuto la collezione di Playboy, non l'ho mai messa tra le mie ambizioni, ho purtroppo solo qualche numero e poi per avere Playboy nell'edizione americana dovrei riservargli una stanza intera».

Mughini è un bibliofilo totale, assoluto. Colleziona libri, li annusa, li accarezza con lo sguardo. Non può vivere senza. Possiede una biblioteca di 22 mila volumi, che nella sua casa romana occupano sette stanze. «Il problema - dice - non è dove li metto, ma dove riuscirò a sistemare il prossimo che comprerò». Duemila di questi libri appartengono alle prime edizioni della letteratura italiana del Novecento. Della letteratura triestina ha tutto, ma proprio tutto e assolutamente in prima edizione. Il suo rapporto con la realtà è sempre mediato dai libri. Tant'è vero che, racconta, «il libro sugli scrittori triestini l'ho concepito nel momento in cui ho preso in mano per la prima volta la copia di “Senilità”».

Questo libro su Trieste e il caso Svevo, in cui ripercorre tutta la Golden age triestina, lei lo ha definito un lavoro arduo e di gestazione dolorosa. Come mai?

Perché non interessava a nessuno. Quando glielo proposi, Carlo Feltrinelli mi guardò stupefatto: «Ma perché lo vuoi fare?», mi chiese. Non si capacitava, pensava addirittura avessi una zia a Trieste. Eppure bastano Saba e Svevo a giustificare un libro sulla letteratura triestina. La Sicilia ha due, tre scrittori, ma Trieste ha una squadra intera.

Da appassionato di calcio e tifoso della Juventus, cui ha dedicato ben tre libri, lei elenca una formazione stellare: Svevo, Saba, Giotti, Marin, Benco, Stuparich, Michelstaedter, Quarantotti Gambini, Mattioni, Renzo Rosso. Secondo lei c'è un elemento che li accomuna?

La depressione ha svolto un ruolo centrale. Prendiamo Svevo: per tutta la vita percorso da uno spasmodico sforzo di diventare uno scrittore e ci riesce solo due anni prima della morte. Renzo Rosso, scrittore di primissimo rango, che se ne mangia cinque degli scrittori che oggi circolano per i premi Strega, viveva a Roma da oscuro funzionario Rai.

Perché li definisce eroi?

Sono stati un gruppo di uomini assolutamente eccezionali nel rapporto con la letteratura e nel rapporto con la vita, che hanno fatto della letteratura triestina del Novecento qualcosa che non ha nulla di paragonabile in Italia. Eppure è impressionante la memoria media dell'italiano, per cui Trieste, non dico sia stata amputata, ma per un effetto ottico è come messa in un angolo alto, lontano. Invece se ascolta un critico straniero che parla dei capolavori della letteratura europea sentirà che cita Svevo, non cita Moravia.

Svevo è stato scoperto da una figura singolare come Roberto Bazlen, uno che era di madrelingua tedesca ma è stato così importante per la letteratura italiana.

Un tipo come Bazlen non è riproducibile nemmeno in provetta, il più grande fiutatore di libri moderni che abbia avuto l'Italia del Novecento, tanto è vero che è stato il gran consigliori dell'Adelphi.

Lei ha definito “anime che non si danno pace” tutto questo gruppo di uomini.

Avevo usato questa espressione durante una peregrinazione notturna con una mia amica davanti alla libreria di Saba gestita dal bravissimo Mario Cerne. Non respiravo dall'emozione, perché la Trieste di quella volta è tale e quale, la senti, la vedi, la percorri.

Negli ultimi anni Trieste è affollata da migliaia di turisti che cercano i vecchi caffè, si fanno selfie accanto alle statue di Svevo e Joyce. Secondo lei qualcosa è cambiato?

Un tantino sì, i documentari di Elisabetta Sgarbi, che è una grande tifosa di Trieste, hanno circolato, ma nel quadro di analfabetismo del nostro mondo è tanto se qualcuno sa ancora parlare italiano.

Torniamo all'oggetto libro di cui lei è un adoratore. Chi compra libri con una certa assiduità è il dieci per cento, mentre il novanta per cento della società italiana compra un libro all'anno. Il libro rischia di sparire?

Mi colpisce il dato dei libri che sono in testa alle classifiche di vendita. Ai miei occhi è insopportabile che sui giornali venga fatta equivalere la questione vendite con la questione qualità. Svevo, dal punto di vista delle vendite, è stato l'opposto, non aveva venduto nulla. Detto questo il libro non sparirà affatto, sarà un oggetto di nicchia come il vinile.

I librai si trasformeranno in antiquari.

A questo proposito non vorrei dimenticare di citare un bravissimo librario antiquario, che sta facendo un lavoro prodigioso di scavo e di scoperta. Mi riferisco a Simone Volpato, che è andato a beccare le cose di Anita Pittoni che stavano in un sacco della spazzatura e le ha proposte al grande mercato collezionistico e soprattutto alla Biblioteca nazionale.

Nella sua raccolta di libri triestini c'è qualcuno che le sta particolarmente a cuore?

Quando è uscito il mio libro su Trieste non avevo una prima edizione di “Una vita” e avevo chiesto all'amico Stelio Vinci di procurarmene una copia. Ebbene, un bancarellaro triestino aveva da trent'anni questa copia intonsa che veniva dalla casa di un grande personaggio triestino, di cui voleva dirmi il nome, e me l'ha venduta in segno di riconoscimento per il mio libro. —

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