Gioconda Belli: «Il Nicaragua è solo, strozzato dalla dittatura»

La scrittrice e giornalista ha aperto ieri a Pordenone la rassegna incentrata su di lei «Solo le donne cambieranno la situazione in Sudamerica»



Passionale, orgogliosa, combattiva, ma anche materna. All'indomani dell'8 marzo, giornata internazionale della donna, la 25° edizione di Dedica Festival (a Pordenone fino al 16 marzo) è stata inaugurata ieri pomeriggio dalla scrittrice, poetessa e giornalista nicaraguense Gioconda Belli, in dialogo con un'altra donna scrittrice, la pordenonese Federica Manzon, al Teatro Verdi di Pordenone.

Il caldo spirito latino della Belli contraccambierà l'entusiasmo della città nel corso di questi 8 giorni durante i quali, attraverso dialoghi, incontri teatrali, musicali, mostre fotografiche, appuntamenti cinematografici e dedicati alle scuole, la scrittrice nicaraguense dipingerà il quadro reale di un Paese in crisi ed in pericolo, dove i diritti civili sono quotidianamente soffocati da una tirannia che dura da 11 anni, esito del voltafaccia politico dell'allora leader della sinistra rivoluzionaria Daniel Ortega.

«Non c'è da stupirsi che le cose siano andate così», esordisce la Belli sull'argomento. «La storia è ciclica e si ripete spesso nelle sue più nefaste aberrazioni. Da giornalista giro il mondo per parlare della situazione nel mio Paese, ci tengo a farlo e mi sento realmente utile facendolo. Una dittatura come quella che oggi strozza il Nicaragua o il Venezuela non si vedeva in America Latina dai tempi di Pinochet. Ma il mio Paese è solo, non c’è aiuto da parte dei governi internazionali, che dovrebbero invece far sentire la loro pressione sul presidente. Non c’è libertà di stampa, non è possibile manifestare in strada, non c’è democrazia alcuna. Pur non disponendo di adeguate risorse per lottare, i giovani hanno deciso comunque di portare avanti una lotta civica per rivendicare l'ingiustizia delle centinaia di morti, prigionieri politici e le decine di migliaia di persone fuggite dal Paese. Abbiamo bisogno dell'intervento delle forze internazionali perché è inammissibile che in quest'era, dove si è globalizzata l'economia, non si globalizzino anche la compassione e la giustizia, che è ciò che adesso manca di più nel mondo».

Ritornata nel 2013 a vivere in Nicaragua, dopo un lungo periodo negli Usa, la Belli si sente «unita al destino del mio Paese dove sono necessaria. La mia letteratura si nutre della vitalità del Nicaragua e mi mancava tutto, avevo bisogno della mia lingua per scrivere e ragionare, e delle storie della gente».

Tra utopie e disillusioni, racconta la bellezza e la forza, la grazia e la resilienza di un Sudamerica che è donna. «Il mondo vive il pericolo di scomparire, la politica mondiale versa in seria crisi, la felicità dell'essere umano è in pericolo. Come racconto nel mio “Il paese delle donne", la situazione può essere cambiata solo attraverso la donna, l'unica in grado di apportare cambiamenti sostanziali. Nei Paesi dove le donne hanno un ruolo apicale, la natalità è scesa; il sistema patriarcale vigente costringe idealmente e concretamente le donne a scegliere uno dei due ruoli da ricoprire. La contraddizione principale nasce in seno all’organizzazione del lavoro, pensata sempre nell’ottica maschile. Solo l'elaborazione di un sistema completamente capovolto può far in modo che la donna riesca a coniugare lavoro e famiglia».

Progressi sulla strada delle pari dignità sono stati fatti. «Ciò che sta facendo il Primo ministro donna della Nuova Zelanda, ad esempio - conclude Gioconda Belli - cambiando l'approccio dell'affrontare la politica e i problemi, ma il processo è lento e si evolve a poco a poco». —

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