Giorgetta Dorfles, i peccati delle donne e di una città che nessuno sa dove sia

Esce con Manni la nuova raccolta di racconti della triestina Dai sette peccati capitali, un repertorio di difetti al femminile

La recensione



Lo schema è questo: sessanta racconti destinati alle donne. Ma attenzione la prospettiva è inedita. Nel nuovo libro di Giorgetta Dorfles, “Di tutti i peccati delle donne” (Manni Editore, pag. 200, euro 15) non ci troviamo di fronte alla solita raccolta in cui si celebra la virtù e la forza del gentil sesso. Casomai il contrario, le donne vengono esaminate da più punti di vista, ma sempre più o meno peccaminosi o in difetto di qualcosa. Gli uomini, va detto, c’entrano poco. Casomai sono personaggi secondari utilizzati per spiegare meglio il difetto o il limite di quel ritratto femminile. Insomma Giorgetta Dorfles ha dalla sua l’audacia e come sempre il rischio, in letteratura, viene compensato. Non è solo questione di coraggio, dalla sua Dorfles ha anche una scrittura lineare, minimalista e chiara, soprattutto riesce a evocare quadri istantanei, come una polaroid, dove in tre pagine ci racconta una storia, un temperamento e, talvolta, si spinge più in là, ad analizzarne le cause, la realtà pregressa che ha reso quella donna invidiosa, gelosa, lussuriosa o vendicativa.

A monte ci sta Eva, la prima peccatrice, Eva che è simbolo della prima caduta. Eva che alla fine troverà un suo riscatto, ma solo dopo aver preso in considerazione sessanta colpe, le più evidenti. Per cui l’autrice parte dai sette peccati capitali: superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira e accidia. Non ci presenta un semplice defilè di superbe, avide o golose. In genere quel limite è il risultato di precedenti privazioni, di imprinting sbagliati – spesso impartiti da altre donne – che hanno finito per formare un carattere. Per voce della stessa autrice, nelle note si legge come si sia ispirata al cosiddetto “Enneagramma”, un metodo psicologico «che viene usato come strumento terapeutico per la conoscenza di sé e per la comprensione degli altri».

Sta di fatto che il vizio è il grande soggetto del libro, vizio femminile, s’intende, ma con un attento gioco di sguardi il difetto caratteriale analizzato potrebbe applicarsi anche agli uomini. Dopo le sette debolezze capitali, l’autrice non esaurisce il catalogo. Altre sono le colpe, altri sono i torti e le mancanze. Per cui la raccolta procede con “Un vizio riassuntivo e altri peccati”. Il vizio riassuntivo è quello conclamato pure da molta cinematografia, basti pensare a film come “La verità è che non gli piaci abbastanza” che nella scrittura di Dorfles si intitola invece “Illusione”. L’illusione di partire per voli pindarici nei confronti di un uomo, il credere che… quando il maschio in questione ha solo esternato cordialità e gentilezza. Per carità, anche gli uomini possono impersonare atteggiamenti da gatta morta, ma è anche vero che i segnali di vera passione, se ci sono, vengono espressi in modo diretto. Se non c’è semplice frontalità, in un uomo, di solito non c’è neppure un grande interesse.

E poi altri traviamenti tra “Pregiudizio” (che nega la verità), “Controllo” (che passa attraverso la fisicità), “Violenza” (quella psicologica soprattutto), “Curiosità” (che non è conoscenza), “Testardaggine”, “Narcisismo”, “Isteria”, “Tradimento” e molti altri ancora, tutti declinati al femminile. E femmina è anche Trieste, mai citata ma evidente nel peccato dell’“Arroganza”, ritratta con poche e lucidissime pennellate. Giorgetta Dorfles la nomina come «La città di Vattelapesca», detta anche con affetto “Vatte” e i suoi abitanti sono «i vattesi che presentavano una buona dose di arroganza. Un atteggiamento che si rifletteva, ad esempio, sul comportamento dei negozianti…». A Vatte si parla solo dialetto, le mostre sono sugli artisti locali e quasi sempre senza troppa pubblicità, perché secondo i vattesi la risonanza di queste iniziative doveva riverberarsi naturalmente nell’etere. A Vatte la gente è indolente, se ne frega e beve. Il suo sogno è di diventare una città stato, lei che è la città più bella del mondo. Così almeno credono i suoi abitanti, ma spesso se nominata in qualche telegiornale, più volte viene collocata dove non è.



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