Giorgione, che stoffa d’artista

Un’immersione nella raffinatezza e nel lusso della Serenissima e del suo territorio nei secoli d’oro, che hanno generato protagonisti internazionali nell’ambito dell’arte, del costume e del tessuto, è il tema della rassegna “Le trame del Giorgione”, visitabile fino al 4 marzo al Museo Casa Giorgione e nel vicino Duomo di S. Maria e S. Liberale a Castelfranco Veneto, dove l’artista nacque nel 1476-’77, per trasferirsi poi a Venezia nel 1500: filo conduttore dell’esposizione, quella cultura estetica che per secoli si è irradiata da Venezia come modello d’eccellenza. Quasi ineguagliata, se non da poche altre realtà come per esempio Firenze e le Fiandre, presenti in mostra attraverso tessuti e pizzi di altissimo livello.
Dalla ricca sequenza di ritratti firmati dai migliori artisti dell’epoca ed esposti al Museo, ad altre opere e alla potente Pala del Duomo, in cui Giorgione dipinge 4 splendide stoffe veneziane, e dai preziosi abiti, tessuti, ricami e accessori esposti accanto ai dipinti, emerge anche il milieu storico e umano della Serenissima, la sua severità, la sua allegria e la sua potenza da fine ‘400 al ‘700. Con un affondo sontuoso nell’antica tradizione della tessitura, che si ricongiunge brillantemente ai suoi esiti contemporanei, rappresentati in terraferma dalle aziende Bottoli di Vittorio Veneto, Bonfanti di Mussolente, Paoletti e Serica 1870 di Follina e Bonotto di Vicenza, i cui tessuti sono ospitati a Castelfranco nei suggestivi “luoghi del Giorgione”: la Torre Civica con l’opera tessile di Nanni Balestrini presentata da Bonito Oliva, lo Studiolo di Vicolo dei Vetri, Casa Costanzo, Casa Barbarella della famiglia di Giorgione e il Teatro Accademico con la geniale produzione di Carlo Scarpa per la Tessoria Asolana.
Il tour si conclude a Venezia, dove la tessitura fu per secoli l’attività più fiorente. Oggi testimoniata da Bevilacqua che, in un atelier incantatore con telai settecenteschi, ripropone il magnifico velluto soprarizzo e altri tessuti che fornisce ai reali di Svezia, Sauditi, Omaniti e del Kuwait, al Cremlino, alla Casa Bianca, al Vaticano e all’alta moda; da Rubelli, che con gran classe rielabora il passato e interpreta il contemporaneo; dai tessuti di Mariano Fortuny, dalla composizione segreta, dal rinato atelier di Roberta di Camerino e dal Museo del tessuto e del costume di Palazzo Mocenigo.
Tra i capolavori, al Museo castellano compaiono il ritratto di Tiziano a Paolo Da Ponte e il piccolo Ritratto di giovane attribuito a Giorgione, rientrati in Italia dagli Usa, quelli “modernissimi” di Jacopo da Ponte al doge Sebastiano Venier e del Tiepolo al celebre umanista Antonio Riccobono: le trame sono testimoniate ed enfatizzate dalla pittura perchè i tessuti costavano cifre folli e sancivano lo status symbol dei potenti. Spesso vi si trovano reminescenze orientali come il punto croce greco dei ricami della collezione fiorentina Caponi o il ricco abito indossato dalla contessa Riccati, che rappresenta un notevole esempio di storia della moda dell’epoca. Completato da un’acconciatura “à la Fontages”, dal nome di un’amante del Re Sole, che durante una caccia fu spettinata dal vento e ricompose i capelli fermandoli con una giarrettiera.
Ma in questo progetto espositivo di ampie vedute, curato da Danila Dal Pos e promosso dal Comune di Castelfranco con Ministero dei Beni Culturali e Veneto Museo Sistema, il concetto di “trama” si assapora in senso lato grazie anche al ricco catalogo. Attraverso lo studio dei tessuti si cerca per esempio di pervenire alla datazione e a precisazioni sulle opere e sul loro significato. Ed emerge anche il grande disegno politico della Serenissima, fondato su severi piani di espansione e autarchia, tra cui i controlli molto severi sulla qualità del tessile, che vietavano inoltre che gli abitanti “in questa Città et in tutte le terre e lochi nostri (territorio che nel ‘500 andava dall’Egeo alla Lombardia) possino vestir et usar alcuna cosa d’oro, d’argento et di seta” prodotti fuori Venezia.
Giorgione, in tale contesto, è l’uomo cardine, l’anello di congiunzione tra la tradizione pittorica del passato e una concezione tecnica, filosofica e intellettuale sottilmente innovatrice, che si esprime attraverso una trama occulta, suggerita per esempio dal Fregio che dipinse nel Museo castellano, ora svelata da Silvio D’Amicone.
Poeta del rapporto fra la natura e l’uomo, capace, nel cuore del Rinascimento, di una finissima modulazione fra luce e colore, è paladino di una nuova pittura da eseguirsi d’emblée con i colori, senza disegno di sottofondo. Genio colto, amante della musica e della poesia, rapito a Venezia dalla peste troppo presto, nel 1510, frequentava i circoli umanistici veneziani e i filosofi patavini. Nei dipinti traccia spesso lati ombrosi e misteriosi, allusioni alle conoscenze astrologiche (molto diffuse tra i medici del tempo), simbologie e allegorie oscure non ancora decrittate che la mostra cerca in parte di svelare, riconoscendo all’artista il ruolo di acuto sensore e premonitore dei tempi.
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