Gli anni da incubo del Kgb al Trieste Festival

TRIESTE. Il Trieste Film Festival scalda i motori per la sua 27.a edizione, in programma dal 22 al 30 gennaio 2016 alla Sala Tripcovich e al Testro Miela, con un bel pieno di cinema della realtà in tutte le sue forme, non solo drammatiche. Sullo schermo passeranno, infatti, storie dure, come quelle di un'ex prigione del Kgb raccontata da chi ci è stato rinchiuso, e guerre vicine nel tempo e geograficamente, come quella dei Balcani, che allungano ancora la loro ombra sul presente.
Ma ci saranno anche tanti film dal sapore di commedia e qualche titolo di genere, a testimonianza della vitalità del cinema dell'Europa centro-orientale che quest'anno fa espandere il Festival su nove giorni con più omaggi, momenti monografici e il ritorno di una retrospettiva, centrata sul regista polacco Marcin Koszalka.
E proprio da un ex luogo di detenzione del Kgb a Vilnius, in Lituania, parte una delle storie vere del concorso documentari, il film "When we talk about Kgb" del regista torinese Maximilien Dejoie e Virginija Vareikyte. L'idea è di ricondurre nella storica prigione della polizia segreta sovietica, oggi museo, molte delle persone che l'hanno frequentata, da dissidenti o agenti, negli anni '80 alla fine del periodo sovietico, per raccontare l'impatto che il Kgb ha avuto sulle loro vite.
«È un film che va al di là della ricostruzione storica fatta da interviste: queste persone coinvolte in storie terribili sono partite da quel dramma per ricostruire una loro vita completamente diversa da prima», anticipa il direttore del Festival, Fabrizio Grosoli.
Nel concorso documentari non mancano lavori che hanno coinvolto gli autori in lunghi anni di ricerche, come il film sulla Cecenia "Groznyj Blues" di Nicola Bellucci, regista italiano che vive da molti anni in Svizzera, ma anche film dallo sguardo più leggero: «Uno di questi è "Cinema mon amour" del regista rumeno Alexandru Belc, la storia del proprietario di una delle poche sale rimaste in un piccolo paese che si inventa gli stratagemmi più incredibili per portare la gente al cinema. Oppure "Chuck Norris vs Communism", la storia di una signora che negli anni '80, un po' casualmente, si è ritrovata a fare la doppiatrice unica in voce off di tutti i film hollywoodiani che giravano in Vhs in Romania». La donna è stata ricontattata, e la sua curiosa vicenda si è meritata anche gli applausi del Sundance Film Festival.
Il fil rouge di molti film selezionati legati al periodo sovietico o alla guerra nei Balcani è l'idea di trovare modi narrativi diversi rispetto al passato. È il caso di "Sole alto" del regista croato Dalibor Matani›, rivelazione dello scorso Festival di Cannes (dove ha vinto il Premio della Giuria nella sezione "Un certain regard"), titolo di apertura del Trieste Film Festival e tra i più importanti in programma. Il conflitto balcanico è stato portato sullo schermo più volte, sia da autori dell'area come Danis Tanovi› con "No man's land" o Emir Kusturica con "La vita è un miracolo", sia da produzioni hollywoodiane (come "Behind enemy lines - Dietro le linee nemiche" con Owen Wilson e Gene Hackman) e da progetti indipendenti di star ("Nella terra del sangue e del miele", debutto alla regia di Angelina Jolie), ma non smette di essere attuale: «La guerra non è un'ossessione nella vita quotidiana dei paesi che ne furono coinvolti, ma ha scavato in profondità su temi che adesso stanno riemergendo in modo drammatico un po' dappertutto, compresa la grossa questione dell'islamismo legato alla Bosnia», afferma Grosoli.
E in più "Sole alto", significativamente coprodotto da Croazia, Serbia e Slovenia e che sarà distribuito in Italia dalla friulana Tucker Film, sceglie una chiave narrativa nuova: «Il racconto della guerra civile avviene attraverso tre storie ambientate a distanza di dieci anni l'una dall'altra, la prima nel 1991 all'inizio della guerra, la succesiva nel 2001 e l'ultima nel 2011, sempre relative all'amore fra una ragazza serba e un ragazzo croato. I personaggi sono diversi, ma sono interpretati dagli stessi attori (Tihana Lazovi› e Goran Markovi›, ndr.). È un modo per far capire come sia ancora forte il tema delle separazioni, delle differenze, e al contempo quanto, dall'altra parte, il rapporto con la tragedia si sia evoluto».
Fa un discorso analogo, ma scegliendo la strada del film di genere, "The prosecutor" della regista bulgara Iglika Triffonova con l'attrice francese Romane Bohringer, tratto da una vicenda vera: «È un classico "film da tribunale", ma in questo caso è il Tribunale dell'Aja - anticipa Grosoli -. Bohringer interpreta un pubblico ministero contro un uomo accusato di crimini di guerra in Bosnia. A poco a poco, si scopre che la verità affidata a un testimone molto giovane è molto più complessa»
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