Gli anni Settanta a Trieste con colori e materiali scrivono una nuova poetica espressiva

TRIESTE. Il ’68 ha scompaginato le regole, aperto a nuove ricerche, sollecitato altri modi di fare arte. E a Trieste cosa accadeva? A questa domanda si propone di rispondere la mostra Trieste Settanta, arte e sperimentazione (aperta fino al 2 giugno al Museo Revoltella). Anche qui nascevano esperienze di arte pubblica, si ideavano installazioni, si sperimentavano nuove tecniche artistiche e azioni collettive rivolte all’innovazione come nel resto d’Italia e all’estero?
L’esposizione, in cui sono rappresentati artisti, gruppi di lavoro assieme a preziosa documentazione dell’epoca, raccoglie una serie di proposte sperimentali di allora con l’obiettivo di restituire il panorama assai ricco e poliedrico di una città che guardava, attraverso i suoi operatori, a quanto si andava facendo in arte a livello internazionale. Si tratta di una rassegna che, anche attraverso l’allestimento, basato sulla interconnessione tra gli ambienti dedicati rispettivamente a gruppi ed associazioni quali Arte Viva, la Cappella Underground, la Galleria Tommaseo, il Gruppo 78, oltre alla grafica, e le opere dei singoli artisti, intende sottolineare la ramificazione e la stratificazione di rapporti che costituiscono gli assunti di base dell’iniziativa.
Gli Arcobaleni di Miela Reina, colorati e di gommapiuma introducono idealmente al decennio, sia per l’esplosione spaziale praticata dall’artista che per l’utilizzo di un materiale precario, povero, capace però di un riscatto estetico. Accanto ad essa altri oggetti fantastici, spartiti, opere tridimensionali di Arte Viva, (oltre a Reina, sono esposti lavori di de Incontrera, Alviani, Cogno e un video documento) gruppo che rese vivace la città già negli anni ’60 e che continuò a operare anche dopo la prematura scomparsa di Miela. (1971)
C’è il lavoro con il calcolatore di ultima generazione di Edward Zajec innovativo non tanto perché usa un mezzo tecnologico legato al progresso quanto per la convinta adesione a una produzione autogenerante. Avvicinando lo sguardo sulla materia vi sono ad esempio le opere di Franco Vecchiet, Bruno Chersicla o Nino Perizi che usano antichi materiali di composizione in modo nuovo o rinnovano la loro poetica con gli stessi: novità coloristiche il primo, scompositive per il secondo e geometriche per il terzo.
La tecnica viene piegata verso nuovi orizzonti. Si cercano soluzioni alternative: il giovane Luciano Celli, che poi giunge a potenti strutture matalliche stereometriche, liquefà nel forno rettangoli di plastica colorata, Cesare Piccotti si adopra a realizzare una sedia con schienale di metallo e seduta con stella rossa di legno; Livio Schiozzi ingrandisce, con uno straordinario blow up, un elemento diagonale per invadere lo spazio.
Attività artistica e ludica, dissacrante e informativa, agganciata alla fragranza del reale? Certo è che alla fine degli anni ’60 nasce a Trieste il Centro La Cappella che produrrà un’attività straordinaria per ricchezza e diversità di orientamento grazie alla passione di un nucleo di giovani desiderosi di portare a Trieste la cultura underground in uno spazio che si fa factory aggregante e produttiva.
E così arrivano in città gli Archizoom con il loro Dressing design, i concerti Fluxus e si propongono nuovi format di mostre con opere di 2x2 cm o SupermARTket. Si produce anche un innovativo materiale editoriale: prende forma il libro-oggetto “Paesaggio goduto”, laparatomia di una città di Celli e Sillani: operazione new dada che intende ridefinire i contorni di Trieste con giochi visivi e molteplici analisi. In questa nuova galleria d’arte giunge l’eco delle nuove ricerche fotografiche con la Fotografia creativa di Sillani, artista impegnato sull’analisi del mezzo e operatore culturale legato a tutti i gruppi dell’avanguardiatriestina.
Gianni Contessi, invece, sempre alla Cappella, ha ad esempio il merito di organizzare tra i primi in Italia una mostra legata al ritorno della pittura. Parallelmente, altre realtà propongono rassegne legate alla grafica e alla moltiplicazione, tecniche e campi di ricerca molto frequentati in quel periodo. Si tratta delle gallerie La Lanterna, Cartesius, che operarono aprendo canali con Lubiana e Zagabria, e la nuova Galleria Tommaseo nata nel ’75 e da subito molto attiva nel settore dell’arte moltiplicata e della ricerca, con particolare attenzione alle proposte concettuali.
In quegli anni tanto quanto si agisce nella sfera comportamentale e performativa altrettanto lo si fa attraverso l’immaterialità del video. Così se una nuova associazione, il Gruppo 78, porterà a Trieste due maestri dell’azionismo viennese come Otto Muehl all’Istituto d’arte e Hermann Nitsch al Teatro Romano con una delle sue azioni fortemente provocatorie e catartiche, Emanuela Marassi affronterà, nell’attualissima perfomance – documentata in video - "La donna è un S-Oggetto Kitsch del ’78, il mondo femminile rivendicando la libertà dagli stereotipi.
Così se i vari Mascherini, Carà, Spacal, Černigoj, i maestri, assieme a gallerie importanti come Torbandena o Rettori Tribbio continuavano ad operare, a Trieste la nuova ondata sperimentale riuscì ad affermarsi; poi alla fine del decennio, dopo tanto rigore, si riaprì il gusto per l’aneddottico, per il segno pittorico neoespressivo ad esempio di un giovane Antonio Sofianopulo.
Il nuovo decennio a quel punto incalzava e la storia, il miti, piuttosto che la letteratura si sarebbero riaffacciati prepotenti in una nuova fase di ricerca, per nuovi eclettismi in cui il concettuale sfumava in una dissolvenza incrociata con il colore.
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