Gli scacchi? Una metafora della guerra Allenano alla responsabilità di restare vivi

Gli scacchi sono solo un gioco come il cuore è solo un muscolo. C’è un intero mondo dietro l’affermazione di Jonathan Rowson, ex campione di scacchi, grande maestro a ventidue anni e giocatore professionista fino a trenta, che ha deciso di abbandonare il gioco perché la conclusione del processo di maturazione favorito dagli scacchi prevede proprio a un certo punto di riporre i pezzi per sempre in un cassetto.
In ‘La mossa giusta. Il senso degli scacchi per la vita’ (Garzanti, 420 pagg., 18,50 euro) Rowson spiega come gli scacchi non sono il significato della vita, ma simulano le condizioni necessarie per una vita piena di significato. La vita, secondo lo scacchista inglese, assume significato ogni volta che ci assumiamo la responsabilità di qualcosa o qualcuno. Come molti giochi gli scacchi sono una metafora della guerra, e nel loro essere un incontro rituale con la morte ci fanno sperimentare la responsabilità di restare vivi mossa dopo mossa. La vita d’altra parte è definita proprio nel segreto racchiuso nella morte.
Come si vede il pensiero di Rowson si nutre di filosofi come Isaiah Berlin, in quel richiamo all’etica della responsabilità, e convoca Martin Heidegger, il cui insegnamento ritorna nel suo esserci-per-la morte. Visti così, gli scacchi sono un’esperienza totalizzante, nella quale i campioni entrano bambini e come chiusi in una bolla di plastica non riescono più a uscirne e sono costretti a guardare la vita svolgersi là fuori. Il campione russo Kasparov rimpiangeva i giochi e le uscite con gli altri bambini, piaceri di cui gli scacchi lo avevano privato, e abbondano i casi di scacchisti giunti ai massimi livelli ma completamente incapaci di relazioni interpersonali, il cui caso limite è quello di Bobby Fischer, probabilmente il più grande scacchista di tutti i tempi.
Gli scacchi sono associati all’idea di intelligenza, ma non solo o non tanto perché il gioco implica l’elaborazione logica di problemi complessi, quanto perché gli scacchi sono un genere particolare di metafora, e la metafora è al centro dell’intelligenza creativa. La metafora, questa sorta di lente attraverso cui la nostra mente guarda il mondo, svela i molteplici sensi della vita, e gli scacchi non sono solo una metafora, ma tante metafore assieme. Proprio come si dice la Bibbia somigli più a una biblioteca che a un libro, gli scacchi hanno una ricchezza storica, simbolica e psicologica tale da costituire una copiosa fonte di metafore scientifiche, artistiche e competitive.
Se gli scacchi sono riconosciuti e giocati in tutto il mondo, è perché rappresentano tanti elementi dell’esperienza e degli sforzi umani, lavoro e gioco, speranza e paura, scienza e arte, verità e bellezza. Rowson si spinge a dire che sono le metafore che danno senso al mondo, e che poche cose sono tanto nocive quanto le cattive metafore, quelle che usano i politici per confondere le acque. Molti immaginano che gli scacchi abbiano sempre a che fare con la logica, ma per la maggior parte del tempo si tratta di affrontare ciò che accade e di sapersi adattare. Ad esempio, se c’è una qualità mentale che gli scacchi possono aiutare a sviluppare è la capacità di vedere le due facce della questione anche quando il nostro desiderio di vincere e le nostre emozioni si mettono di mezzo. Non è possibile dare delle valutazioni coerenti se non si è disposti a concedere alle idee diverse dalle nostre lo stesso rispetto che diano alle nostre. Gli scacchi mettono in scena in scena una verità che tendiamo a rimuovere, ossia che la vita è pericolosa e siamo costantemente in pericolo: Harry Potter, subito prima di incontrare Voldemort deve superare come ultimo ostacolo una scacchiera, giocando una partita che quasi uccide Ron, il suo più caro amico. —
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