Gli scatti di Agnese Divo scoprono la vita negli scarti dell’umido

Un rigoroso bianco e nero attrae l’attenzione verso figure apparentemente complesse, geografie di un immaginario non lontano dal quotidiano, paesaggi sconosciuti ma vicini. “Umido”, personale di Agnese Divo è attualmente in mostra al Cavò in via San Rocco a Trieste fino al 20 aprile.
La fotografa triestina, specializzata in reportage ha iniziato il suo lavoro con la Fratelli Alinari nel 1995, i suoi scatti sono stati pubblicati su importanti riviste nazionali di turismo e ha collaborato con diverse case editrici tra cui Touring editore. L’amore per la fotografia l’ha portata a lavorare anche in diversi teatri di prosa.
L’attenzione per il dettaglio, la passione per l’oggetto ripreso nella sua particolare essenza ha indirizzato la sua ricerca verso un inconsueto universo tanto da cogliere la poesia che c’è dietro quello che abitualmente buttiamo.
Il progetto di “Umido” inizia nella primavera del 2016. Scrive Massimiliano Schiozzi, curatore della mostra: «In un gioco di scarti visivi, complici alcune foto macro, le immagini di Agnese Divo ci portano a osservare, forse per la prima volta, elementi quotidiani, gli scarti dell’umido, con sguardo rinnovato. Un raffinato bianco e nero, quasi china o grafite su carta aggiunge un ulteriore elemento di fascinazione per il nostro occhio che indugia su queste forme poeticamente ambigue tra il vegetale e il minerale creando nuovi microcosmi e paesaggi da esplorare».
Interessante oltre alla dinamica dell’«occhio paranoico critico» come amava definirlo Salvador Dalì, la capacità nell’aver colto la vita nell’elemento organico. Il lavoro inizia dalla preparazione della separazione dei semi, delle bucce, degli scarti. Il picciolo di una fragola, il baccello di un pisello, le foglie di un cavolfiore, i ciuffi di una carota, la parte interna della buccia di un melograno divengono protagonisti di un innovativo paesaggio.
Le foto hanno una complessa preparazione, vengono rielaborate. Divo elimina le ombre e i semi di avocado, di mango, di prugna, di ciliegia, di arancia, di limone aprono un discorso intenso e profondo tra interno ed esterno, tra essenza ed apparenza. «Spesso – commenta - non guardiamo quello che buttiamo, ma nei semi c’è vita».
L’artista, per questa personale, sceglie di porre l’attenzione proprio nella genesi, nella bellezza del germoglio, nella creazione della natura. La mostra è supportata da un allestimento curato da Furio Ogrisi nel quale la natura è protagonista, pochi elementi ma essenziali: una sedia dal cuscino di broccoli e una piccola ampolla sospesa nella quale si stanno sviluppando i semi della mela precedentemente fotografati dalla Divo. Una celebrazione inconsueta e lirica della vita proprio lì dove sembrava fosse scritto invece il suo ultimo atto.
Allontanando l’occhio dalla materialità degli elementi e accostando la mente alla letteratura viene in mente il libro di Agatha Christie “Nella mia fine è il mio principio”, un omaggio al rinnovamento e alla rinascita laddove si crede che si stia celebrando un funerale al contrario si commemora una nuova fenice. L’attenzione che vuole indirizzare questa personale è proprio nella capacità di elaborare il vissuto inteso non solo come materiale ma soprattutto come esperienza, un interessante spunto di riflessione sulla dinamicità dell’esistenza partendo da una buccia di patata fino a giungere al più profondo ricordo di se stessi.
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