Gli ultimi giorni di vita del Parmigianino il pittore che cercava l’oro
Girolamo Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, è stato uno dei pittori più importanti del Cinquecento. Esponente della Maniera emiliana, ebbe una carriera molto breve, morì infatti a soli trentasette anni. Se uno dei meriti che gli riconoscono gli storici dell’arte fu l’aver ridefinito i canoni della bellezza del tempo secondo una immagine elegante e artificiale, alla sua leggenda contribuì lo storiografo Giorgio Vasari, che raccontò nelle sue ‘Vite’ come Parmigianino, preso dai suoi esperimenti alchemici, avrebbe abbandonato l’arte, assorbito dall’alchimia al punto tale di autodistruggersi.
La scienza alchemica che volgarmente servirebbe a trasformare i metalli in oro, in realtà comprende un complesso di simboli che serve da veicolo per delle verità di ordine più elevato. Il giornalista Davide Barilli, responsabile delle pagine culturali della Gazzetta di Parma, immagina gli ultimi giorni di vita di un Parmigianino spiritato e lacero, percorsi da una inestinguibile ansia e immersi in un ermetismo che ha le tinte del magico e del fantastico. “Alchimia” (Diabasis, pagg. 73, 13 euro) è un racconto che porta il pittore a vagare tra il Po, gli appennini parmensi e le alpi Apuane, tra boschi e caverne misteriose. In una di queste incontra Morbino, un folletto cui i cavatori di pietra delle Apuane attribuiscono sembianze umane. A Morbino il pittore chiede di trovargli il prezioso cinabro, elemento fondamentale nella composizione pittorica e degli alambicchi nei quali potrebbe sintetizzarsi l’oro.
Il Parmigianino vorrebbe infatti trovare tramite gli esperimenti alchemici l’oro di cui ha bisogno per terminare gli affreschi cui sta lavorando a Parma, alla basilica della Steccata, inadempienze che gli costeranno il carcere.
Il cinabro si trova nelle rocce delle Alpi Apuane, dove vive Morbino, il folletto. In cambio Parmigianino gli dona il ritratto di una donna nuda, simile a una delle sue opere più note, la Schiava turca, fanciulla dai capelli bruni e dai grandi occhi verdi dotata di uno sguardo malizioso.
Morbino si perde a contemplare il ritratto fino alla pazzia, quando colpirà a martellate la roccia e accenderà un fuoco che brucerà lo stesso dipinto.
Lo psicoanalista e psichiatra Salmon Resnik occupandosi del fantastico nella realtà dell’arte e del mito sostiene che l’esperienza estetica non prescinde mai, per sua natura, dalla sensibilità dell’osservatore e dalla sua disposizione a lasciarsi prendere dall’oggetto in cui l’attività creativa dell’artista si è esplicitata, a lasciarsene penetrare e ad arricchirsene. L’esperienza estetica opera una trasformazione in chi ne fruisce, come suggerisce il racconto di Barilli, che attraverso la ricerca di Parmigianino ci invita a considerare come l’arte evoca parti ignote o dimenticate di sé.
L’impatto estetico è dunque incontro, sorpresa, domanda, dialogo, apertura di senso e proposta. Tutto ciò propone con forza il tema della trasformazione e invita ad assumere il brivido dell’avventura, che è anche disorientamento e rischio. La vera alchimia è perciò di ordine spirituale e non materiale: questo non significa che si debba negare la possibilità delle trasmutazioni metalliche, che rappresentano l’alchimia con gli occhi dei profani, a patto di non confonderle con cose di ordine diverso. —
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