Gli ultras visti da Segre sono gruppi paramilitari
TORINO. Piacerà “Ragazzi di stadio, quarant'anni dopo” alla Juventus? «Non lo so, ma di fatto i bianconeri, insieme alla lega calcio, non mi hanno permesso di filmare la tifoseria ordinaria, né gli ultrà nello stadio, ma non ne abbiamo fatto una tragedia». Così il regista Daniele Segre ha parlato del suo documentario dedicato agli ultras della squadra bianconera passato ieri alla 36° edizione del Torino Film Festival. «Dopo quaranta anni - dice il regista - è cambiato molto. Allora c'era ancora una poetica, oggi gli ultras sono più che altro un'organizzazione paramilitare. Comunque - in un documentario pieno zeppo di testimonianze - ho lavorato con gli ultra grazie alla reciproca fiducia per i miei trascorsi, i drughi (il termine deriva dal quartetto di balordi di Arancia meccanica) insomma mi hanno dato fiducia e non ho mai avuto problemi». Nel documentario, cori, scenografie per la partita, immagini di Mussolini nelle sedi e soprattutto l'idea che il tifo supera ogni cosa, anche famiglia e lavoro. In quanto a organizzazione militare le testimonianze del documentario parlano chiaro. In una struttura strettamente gerarchica troviamo figure come il 'capo guerra’, quello che decide se è il caso di andare allo scontro con la tifoseria opposta, e il 'lancia-cori’, che invece dirige gli slogan da urlare. Segre torna con questo film a raccontare il mondo degli ultrà miscelando, immagini di repertorio, le foto di Ragazzi di stadio (Mazzotta, 1980) e i suoi due film Il potere deve essere bianconero (1977) e Ragazzi di stadio (1980), senza dare nessun giudizio, ma mostrando le sole immagini e testimonianze.
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