Goethe in Italia trovò l’antico: il quinto appuntamento

Domenica 10 dicembre, alle 11, al Terminal passeggeri della Stazione marittima, a ingresso libero fino a esaurimento posti, introdotto da Alessandro Mezzena Lona, Luigi Mascilli Migliorini parlerà su “”La meraviglia - Goethe in Italia”.

Lezioni di Storia a Trieste: 6 incontri sul tema del viaggio

Nuovo appuntamento con le Lezioni di storia, sei incontri questa volta dedicati a “Il viaggio”. Domani, domenica 10 dicembre, alle 11, al Terminal passeggeri della Stazione marittima, a ingresso libero fino a esaurimento posti, introdotto da Alessandro Mezzena Lona, Luigi Mascilli Migliorini parlerà su “”La meraviglia - Goethe in Italia”. Il ciclo delle Lezioni di storia, ideato dagli Editori Laterza, è organizzato dall’Erpac-Ente regionale patrimonio culturale della Regione Friuli Venezia Giulia, con il contributo della Fondazione CRTrieste, la media partnership de “Il Piccolo”, la collaborazione di Trieste Terminal Passeggeri e il patrocinio del Comune di Trieste. Anticipiamo di seguito un brano dell’intervento di Luigi Mascilli Migliorini.



TRIESTE Il “Viaggio in Italia di Goethe” in un certo senso è l’archetipo del racconto di viaggio del Grand Tour. Tuttavia ha una sua singolarità, che nasce dall’assoluta originalità dell’autore, ma anche da elementi che ne fanno un testo particolarmente accattivante. Intanto, è per così dire un testo “strabico”, come succede talvolta nei racconti di viaggio, perché Goethe viene in Italia nel 1786, quando ha da poco compiuto 37 anni, ma i libro lo scrive, o lo riscopre, quando ha quasi ottant’anni. Perciò c’è un duplice punto di vista, quello di un uomo ormai giunto all’apice di una vita luminosissima in Europa, che sente il bisogno di tornare su un’esperienza del passato per fare un bilancio una riflessione su se stesso, un se stesso che non è più il Goethe trentasettenne, ma è il Goethe ottantenne.

Al tempo stesso, e questa è un’altra singolarità, Goethe intraprende il viaggio in Italia in un momento in cui sente il bisogno di fare un bilancio della sua vita e della sua opera. Siamo in presenza di un Goethe ottantenne che riflette su un Goethe quarantenne, e un Goethe quarantenne che si trova a un bivio della sua esistenza, in un momento in cui - a differenza di atri viaggiatori del Gran Tour - a quarant’anni Goethe è già un uomo molto famoso.

Dunque il suo non è un viaggio di formazione, non è il Grand Tour del ventenne rampollo dell’aristocrazia inglese, o della borghesia francese, che viene in Italia per imparare l’arte, il lessico dell’Italia. Si tratta piuttosto di un uomo che a quarant’anni ha raggiunto una consolidata posizione sotto due profili. Intanto è il consigliere più ascoltato dal principe di Weimar, e in qualche modo ha raggiunto una posizione di potere, e da questo punto di vista può dirsi un uomo arrivato. Ma è arrivato anche dal punto di vista letterario, perché ha già alle sue spalle quel capolavoro che è “I dolori del giovane Werther”, che aveva avuto un enorme successo in Europa. Al punto che l’editore Goesher sente già il bisogno di pubblicare le opere complete di Goethe in otto volumi.

Al tempo del suo viaggio in Italia Goethe ha già fatto tutto. Ed è questo il suo problema. Lui viene in Italia perché in realtà quanto ha fatto non lo convince. Non lo convince la sua dimensione di alto burocrate, ruolo che trova ripetitivo e noioso, pieno di obblighi sociali che non corrispondono più al suo stato d’animo. E ancor più non è soddisfatto nella sua strada creativa. In qualche modo si sente inceppato, bloccato, tant’è vero che si porta dietro in Italia tutto il materiale, il corpus di appunti e testi in fase abbastanza avanzata, che dovrebbero comporre i primi quattro volumi degli otto che l’editore gli ha chiesto. In particolare Goethe porta con sè un progetto e il relativo materiale per realizzarlo.

Si tratta di “Ifigenia in Tauride”, poema che lui in realtà ha già abbozzato e anche in larga parte scritto, al punto che definisce questo lavoro “la mia compagna di viaggio”. Goethe approfitta dei vari inviti che riceve, durante il suo tour, dai salotti dell’aristocrazia italiana per vedere che effetto fa il testo sul pubblico, se funziona. E ogni volta, puntualmente, si vede restituito un giudizio del tipo: “sì, molto bello, dicono, ma ho sempre pensato che considerino il mio poema troppo morbido, troppo composto”. Insomma Goethe si rende conto che al testo manca qualcosa, che la sua Ifigenia non è rappresentata in modo così elevatamente drammatico come egli vorrebbe.

Il nodo è il rapporto con il mondo antico. Per Goethe il mondo antico è il generatore se non di tutta l’arte possibile, sicuramente dell’arte nel suo punto d’espressione più alto. E nel momento in cui viene in Italia si sente bloccato perché capisce che il suo rapporto con il mondo antico non è riuscito ancora ad acquisire il giusto tratto di grandezza, di dimensione eroica e tragica. Questo viaggio per Goethe è una partita a dadi che potrebbe portare a un ritorno a casa - come accadrà dopo due anni e mezzo -, oppure a perdersi lungo strade diverse da quelle percorse fino a quel momento.

In Italia Goethe cerca il mondo antico. Lo trova subito nell’arena di Verona, il primo monumento davvero antico che vede da vicino. Perché è questo che lui cerca: il contatto fisico con l’antico. Venezia non lo interessa, e nemmeno Firenze, e in genere non trova alcun interesse nelle mediazioni dell’antico, come il Rinascimento o l’Umanesimo. Presto il suo viaggio si trasforma in una corsa verso il Sud Italia, verso Roma e oltre, perché sente che lì troverà un’Italia in grado di restituirgli l’esperienza autentica dell’antico. Come Winckelmann, anche Goethe sente che non si deve vivere “alla greca” o scrivere “alla greca”, ma bisogna “essere” greco o romano. Come Canova, che non scolpisce “come gli antichi”, ma scolpisce “da antico”.

Ma più si inoltra nel Sud, più va dentro questa fisicità, e più Goethe capisce che la verità non sta nelle pietre, ma sta da un’altra parte, dove non si aspettava di trovarla. A Napoli Goethe resta un mese. Qui scopre i lazzari felici di vivere per la felicità del vivere, e per ben tre volte sale sul Vesuvio che è in eruzione. Poi prosegue il viaggio verso il Sud, arriva a Messina, che è stata appena colpita da un terremoto, e anche qui si rende conto che l’Italia non gli parla dell’antico attraverso le sue pietre, ma attraverso la straordinaria vitalità della natura e le esperienze dei suoi abitanti. Goethe scopre ciò che altri poi ritroveranno, e cioè che gli italiani non sono solo i depositari di alcune rovine, ma sono essi stessi l’antico che si riproduce continuamente. In Italia Goethe immaginava di fare un viaggio nel tempo, e invece alla fine capisce che il tempo è la natura, non sono gli oggetti. Il tempo, capisce Goethe, è la vita stessa.
 

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