Gorizia diventò italiana con un colpo di mano dell’incosciente Baruzzi

Fino al 30 novembre rivive nelle sale del Castello l’avventurosa, eroica conquista della città nel 1916
Di Roberto Covaz

di ROBERTO COVAZ

Dopo cent’anni forse è giunto il momento di riflettere serenamente, liberi dall’appiccicosa camicia di forza della retorica: in fondo se Gorizia è italiana lo si deve a un atto di insubordinazione di un diciannovenne sottotenente della Brigata Pavia, il sanguigno romagnolo di nome Aurelio Baruzzi. Quasi da solo, all’alba di martedì 8 agosto 1916, riesce a catturare duecento soldati austro-ungarici, malconci e feriti, rinserrati nel tunnel della ferrovia, sulla sponda destra dell’Isonzo. Il resto degli imperiali ha già riparato in sponda sinistra per difendere fin che si può Görz e per poi appostarsi sul campo trincerato alle spalle della città, su quei colli che di santo hanno solo il nome: Monte Santo, San Marco, San Gabriele, Santa Caterina. Agli italiani, che già venerdì 4 agosto sul Carso di Monfalcone - manovra diversiva - hanno scatenato la sesta battaglia dell’Isonzo, importa soprattutto occupare la sponda destra del fiume. Alla città ci avrebbero pensato più avanti. Invece, ecco questo Baruzzi che con altri 15 soldati s’inventa un blitz coraggioso e incosciente e pone le basi per la conquista di Gorizia. Che sarà completata nel pomeriggio di mercoledì 9 agosto. Baruzzi viene messo sotto accusa dai suoi superiori per insubordinazione, ma re Vittorio Emanuele intuisce il valore simbolico del suo gesto e prontamente lo sfrutta: Baruzzi è un eroe da mostrare all’Italia e gli conferisce la medaglia d’oro.

Non si può prescindere dalla figura di Baruzzi, negli anni riveduta e corretta tanto da correre il rischio di renderla grottesca, per parlare della conquista di Gorizia dell’agosto del 1916. E la conquista di Gorizia doveva essere il nome della magnifica mostra fotografica e non solo inaugurata ieri nel Castello di Gorizia e visitabile fino al 30 novembre. Voluta dal Comune, in particolare dal sindaco e assessore alla Cultura Ettore Romoli, l’esposizione è stata resa possibile grazie all’immenso patrimonio messo con sapienza a disposizione dall’associazione Isonzo-Gruppo di ricerca.

La mostra, in realtà, si intitola “La presa di Gorizia”. Presa e non conquista perché, come spiega il curatore e presidente dell’associazione Bruno Pascoli, «il termine conquista evocava troppo perentoriamente la brutalità della guerra. Presa invece ha il significato di un nuovo inizio». L’austriaca Görz - città cara all’imperatore Francesco Giuseppe cui è dedicata l’appendice dell’esposizione - non è che agognasse diventare italiana e la sua complessa storia del Novecento spesso richiama a questo fatto (fu l’unica città italiana ad applaudire i Tedeschi al loro arrivo dopo l’otto settembre 1943). La mostra rispetta in pieno questo sentire e non concede sbandamenti né agli “austriacanti” né ai “regnicoli”. Certo, non fu solo merito di Baruzzi. È un intero esercito dato per spacciato, quello italiano, a scrivere una pagina epica e gloriosa, raccontata quasi in diretta dai giornali di tutto il mondo, al prezzo di decine di migliaia di vittime. Una presa che cambia soprattutto la storia di Gorizia. Suddivisa in otto sezioni arrampicate sui tre piani del Castello, “La presa di Gorizia” rende merito soprattutto agli uomini, al sacrificio dei caduti. Le sezioni sono: “La sorpresa strategica”, “La battaglia”, “Le perdite”, “L’Eroe Aurelio Baruzzi”, “I letterati: Vittorio Locchi”, “La carta e la propaganda”, “Gorizia italiana”, “La guerra vista dagli artisti”. La gran parte delle fotografie esposte sono inedite e l’allestimento - curato da Pascoli, Andrea Spanghero e per, il Comune, da Emanuela Uccello - esalta il loro valore di testimonianza. Non è una mostra celebrativa, vuole semplicemente riportare al centro del pensiero le centinaia di migliaia di vittime e com’era la città in quei giorni. È l’uomo che combatte, è l’uomo che dipinge o tratteggia in parole - sia dalla parte del vincitore che dello sconfitto - la tragica epopea di una crudele battaglia della Prima guerra mondiale. In particolare, le raffigurazioni pittoriche (Brass, Sartorio Marussig per i “vincitori”; Pamberger e Assmann per gli “sconfitti”) rappresentano un unicum rispetto a tante altre esposizioni dedicate alla Grande guerra. I curatori concedono un minimo spazio anche ai cultori delle armi. Ma lo fanno con sapienza. Per esempio, sapere che gli italiani avevano una potenza di fuoco di cannoni tre volte superiori a quella degli austriaci aiuta a capire lo sfondo della presa di Gorizia. Semplice e ricco il catalogo che propone una sintesi anche nelle lingue inglese, sloveno e tedesco. Non si tace, infatti, che tra gli obiettivi della rassegna ci sia anche quello dell’attrazione di turisti.

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