“Green Book” vince gli Oscar in black e Netflix si accaparra quattro statuette

A “Roma” di Cuarón tre riconoscimenti, quattro a “Bohemian Rhapsody”. Migliori attori Rami Malek e Olivia Colman



Una commedia di amore e amicizia, “Green Book” di Peter Farrelly ha vinto l'Oscar per il miglior film alla 91° edizione degli Academy Awards. Non era fra i favoriti ma era in qualche modo in perfetta linea con una serata i cui temi d'inclusione e d'integrazione hanno monopolizzato l'intera cerimonia. La corroborante storia del viaggio del musicista Don Shirley e del suo autista nell'America profonda e razzista degli anni ’60, ha vinto tre statuette importanti, oltre a miglior film, anche migliore attore non protagonista, Mahershala Ali e migliore sceneggiatura originale, scritta tra gli altri da Nick Vallelonga, attore e sceneggiatore italoamericano che si è basato sulla reale esperienza del padre, che fu davvero l'autista del musicista jazz in quell'epico viaggio che sfidò la segregazione razziale e l'intolleranza del tempo.

Ali non è stato l'unico afroamericano a vincere in questa serata di rivincita per le minoranze, la più “black” di tutte, con sette statuette distribuite. Regina King, per “Se la strada potesse parlare”, è stata la prima a festeggiare: migliore attrice non protagonista. Poi Spike Lee, per “BlacKkKlansman”, ha ottenuto il premio per la migliore sceneggiatura non originale e ha infiammato la platea con un discorso molto politico: «Le elezioni 2020 sono dietro l'angolo, ricordiamocelo, possiamo fare una scelta di amore e non di odio». Il presidente Trump gli ha risposto più tardi via Twitter: «Sarebbe carino se Spike Lee sapesse leggere i suoi appunti, o meglio ancora se non dovesse usarli proprio, quando fa commenti razzisti sul vostro presidente, che ha fatto più per gli afroamericani (riforma della giustizia penale, i più bassi dati di disoccupazione della storia, tagli alle tasse, ecc) quasi di qualsiasi altro presidente!».

All’annuncio della vittoria di “Green Book” Spike Lee è comunque uscito furibondo dalla sala: «Non la mia tazza di te», ha protestato con un gesto di stizza, paragonando la vittoria del film di Farrelly a «quando l'arbitro prende la decisione sbagliata».

E poi c'è “Roma”, di Alfonso Cuarón, altro film dalla forte connotazione sociale, grande favorito della vigilia, che racconta la storia della domestica di famiglia nell'infanzia del regista a Mexico City. “Roma”, prodotto da Netflix, ha vinto tre premi importanti: miglior film in lingua straniera (il primo al Messico), miglior regista, migliore fotografia. «Questo film è dedicato ai 70 milioni di collaboratori domestici che lavorano nelle nostre case e che di solito sono relegati nello sfondo dei nostri film - ha detto il regista -. Gli immigrati e le donne proiettano il mondo in avanti». Rami Malek, vincitore dell'Oscar come protagonista di “Bohemian Rhapsody”, ha anche lui una storia di inclusione: «Sono il figlio di immigrati egiziani, americano di seconda generazione, non ero la scelta più ovvia ma a quanto pare ha funzionato». “Bohemian Rhapsody” è il film che ha vinto di più, quattro statuette, le altre però tutte tecniche: montaggio, sound editing e sound mixing.

Anche il premio per la migliore attrice protagonista ha sorpreso, è andato a Olivia Colman, per “La Favorita”, battendo Glenn Close, che, nominata sette volte agli Oscar (questa volta per The Wife) non ha mai vinto. La Colman ha battuto anche Lady Gaga che si è rifatta con il premio alla migliore canzone, “Shallow”, da “A Star is Born”, forse il film dal risultato più deludente della serata a fronte delle otto candidature. Lady Gaga ha ritirato il premio tra le lacrime e ha detto che il segreto del successo è la disciplina e la capacità di tornare in pista dopo i no, dopo gli insuccessi: «Il segreto è il numero delle volte che sei in grado di rialzarti dopo le cadute».

Un po’ di delusione anche per “Black Panther”, primo film tratto da fumetti arrivato agli Oscar nella categoria più importante. La storia dell'ipotetico e potente stato di Wachanga ha vinto i premi per la migliore colonna sonora, per i costumi e la scenografia.

L’altra vittoria della serata è quella di Netflix, che con “Roma” di Cuarón (già Leone d’Oro a Venezia, dopo che Cannes si è rifiutato di averlo in concorso) si piazza al centro dell'universo della produzione cinematografica mondiale. Insomma una lezione a quei registi e critici che snobbano l'azienda perché fa concorrenza al cinema tradizionale e una rivincita su quei cinema che avevano deciso di non mostrare “Roma” nelle loro sale, sapendo che poco dopo sarebbe stato disponibile online. Ma non è tutto. Netflix, attivo in 190 paesi, porta a casa un'altra ambita statuetta per 'End of sentence’, miglior short documentary. Il film racconta la vita e le difficoltà quotidiane di Sneh e delle altre sei donne, tutte tra i 18 e i 31 anni, che in una piccola fabbrica creata due anni fa dalla ong Action India, producono assorbenti sanitari femminili.

La mancanza del presentatore non si è fatta sentire. Soluzione presa in emergenza dai produttori, dopo l'inciampo in un tweet omofobo di Kevin Hart. Apertura ironica di Tina Fey, Amy Poehler e Maya Rudolph e chiusura sorridente con Julia Roberts che ha ringraziato i figli e augurato la buonanotte. Ermanno Olmi, Bernardo Bertolucci e Vittorio Taviani sono i tre registi italiani ricordati nella tradizionale rubrica “In Memoriam”, con Milos Forman e Bruno Ganz.

Riproduzione riservata © Il Piccolo