Gullotta in “Pensaci, Giacomino” «Ha cent’anni, ma è attualissimo»

Stasera il lavoro di Pirandello al Verdi di Gorizia, per la regia di Fabio Grossi Il protagonista: «Affronta solitudine, arrivismo, l’ignoranza che genera violenza»



È un Pirandello inconsueto quello di stasera, alle 20.45, al teatro Verdi di Gorizia. “Pensaci, Giacomino”, che segna il ritorno in regione di un importante interprete della scena italiana come Leo Gullotta.

Gullotta, perchè, tra tanti Pirandello, proprio “Pensaci, Giacomino”?

«Con Pirandello ho avuto altri rapporti ma questo è un testo che non si faceva da 35 anni e il motivo di questa sua assenza, dopo 73 anni di vita e 54 di lavoro, non l’ho ancora capito. E sì che in passato è stato affrontato da grandissimi dell’arte recitativa come Turi Ferro, Salvo Randone, Sergio Tofano, Ernesto Calindri».

Quali i pregi dell’opera?

«Il testo, di cento anni fa, è attualissimo. Pirandello aveva intuito perfettamente il disfacimento della società. “Pensaci, Giacomino” affronta temi quali la solitudine, la condizione femminile, l'arrivismo dei burocrati, i disagi della scuola pubblica, l'invadenza dei rappresentanti ecclesiastici, l'ignoranza che genera violenza».

Qual è la caratteristica della messinscena che vedremo a Gorizia?

«Assieme al regista Fabio Grossi, con cui collaboro da circa dodici anni e con cui, per esempio, ho fatto Shakespeare, Patroni Griffi e altri Pirandello, ho pensato di non “toccare” il testo ma di riunire i tre atti in un'ora e venti di spettacolo, praticamente in un atto unico».

Perchè?

«Per non far perdere al pubblico la tensione emotiva che, appunto, con gli intermezzi verrebbe meno. Per il resto, la scenografia richiama l'espressionismo tedesco tanto caro a Pirandello. Le musiche sono del maestro Mazzocchetti e segnano gli intermezzi tra una situazione e l’altra; le canzoni vengono eseguite come se fossero ispirate a pezzi brechtiani, e, in realtà, sono versi dello stesso Pirandello, tratti da “La favola del figlio cambiato”. In scena ci sono nove attori. E oggi una compagnia che gira con questa quantità di interpreti per una tournée così lunga è un miracolo».

Quali sono i suoi impegni futuri?

«“Pensaci, Giacomino” andrà in scena anche nella prossima stagione e spero di poterlo fare pure a Trieste dove sono stato più volte e dove avrei piacere di ritornare perché tutti, da voi, hanno l’abitudine di andare a teatro: ho sempre visto la sala affollatissima e lunghe code al botteghino. Questa estate, invece, al Festival di Napoli, sarò in scena con un testo di Melville, che poi girerà l’Italia. Un po’ di cose da fare, insomma, ci sono: mi sento fortunato. Chi ha seminato, qualcosa raccoglie, pur in tempi così pesanti. In questo momento, il teatro, per fortuna è seguito dal pubblico, ma soffre».

Nel ’93, è stato “vittima” di “Scherzi a parte”, trovandosi faccia a faccia con una tigre. Come ricorda quell’esperienza?

«Era la prima puntata della trasmissione e quello è lo “Scherzo” storico perchè era basato sul cinismo. È rimasto indelebile, ma, quando in molti mi fermano e mi chiedono di quello scherzo, subito dopo aggiungono “A lei non dovevano farlo”».

Ha perdonato gli autori della trasmissione?

«Certamente, anche se per una settimana ero arrabbiato, nervoso. Ma io faccio spettacolo. E lo spettacolo è spettacolo. Quindi, ho firmato per la liberatoria». —

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