Hopper, una miniera di storie
di ALESSANDRO MEZZENA LONA
Quando dipingeva, Edward Hopper dava forma al silenzio con i colori. Lasciando che il buio della notte si prendesse il palcoscenico nella New York dei bar qualunque. Spalancando la porta di una casa tipicamente americana sull’assedio immobile dsel mare. Scrutando la solitudine di una donna nuda che aspetta qualcuno in una stanza d’albergo. Innamorandosi di una ragazza, bella e impossibile come un manichino, nell’anonima tristezza di una tavola calda che sforna pasti stile catena di montaggio.
Scrutando negli occhi la realtà, Hopper riusciva a costruire sulla tela frammenti di storie. Dava forma a spezzoni di vita tutta da interpretare. Ed è proprio lì, in quei silenzi, in quei momenti narrativi mai portati a termine dall’artista nato a Nyack nel 1882, e morto a New York nel 1967, che si sono intrufolati alcuni tra i migliori scrittori americani. Per dare forma a un libro. Un progetto originale e bello come “Ombre”, l’antologia di racconti ispirati ai dipinti di Hopper. L’ha inventata Lawrence Block, l’hanno tradotta per Einaudi (pagg. 300, euro 18,50) Luca Briasco, Fabio Deotto e Letizia Sacchini.
«In America e nel mondo intero Hopper è senza dubbio un artista molto amato - spiega Block -. Ma ho scoperto che ad apprezzarlo in particolar modo sono i lettori, gli scrittori, e in generale chi subisce il fascino delle belle storie. Che ci piaccia crearle o ascoltarle, noi amanti delle storie siamo invariabilmente attratti dal lavoro di questo artista. E non perché i suoi quadri ne raccontino necessariamente una».
Proprio da lì, dalla libertà assoluta che Hopper lascia a chi guarda i suoi dipinti, sono partiti gli autori di queste storie. Joe R. Lansdale si è preso il quadro “New York Cinema” per costruirgli attorno il destino di un “Proiezionista”. Un giovane uomo che soltanto dentro la cabina di un cinema riesce a dimenticare la sua inettitudine a vivere. La sua incapacità di farsi amare da una donna. Quando, però, il proprietario della sala assume la bellissima Sally come maschera, allora lui si scopre pronto a superare le proprie inibizioni per proteggerla.
Stephen King, che ha regalato ai suoi lettori memorabili brividi di carta, ragionando attorno a “Room in New York” è riuscito a costruire un racconto dal raggelante umorismo. Dove due coniugi, per sbarcare il lunario, attirano nella propria casa, e poi chiudono fino alla morte dentro un armadio insonorizzato, poveri malcapitati che hanno la sola colpa di possedere un bel po’ di soldi. Richiamando alla memoria le deliziose e terrificanti vecchiette di “Arsenico e vecchi merletti”, intramontabile film di Frank Capra con Cary Grant.
Chi ricorda “Eleven A.M.”. il quadro dipinto da Hopper nel 1926, conserverà ancora dentro sé quell’inquietudine che emana la ragazza nuda seduta su una poltrona blu elettrico davanti a una finestra. Joyce Carol Oates, da anni candidata al Premio Nobel per la letteratura, immagina che quella giovane donna stia aspettando il suo maturo amante. E che ripercorra con rabbia e delusione i passaggi più importanti di quell’avventura, che l’ha portata sì a vivere in un appartamentino niente male. Ma l’ha trasformata, al tempo stesso, nella bambola di carne di un uomo totalmente privo di sensibilità.
Nelle “Night windows” si riflettono, invece, i turpi desideri di un uomo che spia le ragazze del palazzo accanto, come nella “Finestra sul cortile” di Alfred Hitchcock. Ma questa volta il guardone non ha le stesse buone intenzioni di James Stewart. Anzi, la sua tattica è quella di scoprire tutti i segreti delle donne che vivono lì a un passo, per poi agganciarle, sedurle con un minimo di gentilezza e trasformarle nelle proprie vittime. Jonathan Santlofer costruisce il racconto “Finestre di notte” riservando ai lettori una sorpresa elettrizzante. E del tutto fuori rotta.
A chiudere il libro è, senza dubbio, il quadro più misterioso nella produzione di Hopper. Quell’«Automat», dipinto nel 1927, dove una giovane donna vestita con una certa eleganza sta seduta al centro di una tavola calda, con il fondale sfuggente di una New York notturna alle spalle. Aspettando non si sa chi o che cosa. Ci pensa Lawrence Block a confezionarle attorno un racconto dal finale esilarante e geniale.
Merita una citazione, ancora, “Soir bleu”. Dove Robert O.Butler immagina la possibile storia dell’onirico e tenebroso clown dipinto da Hopper nel 1924. Quando ancora erano in pochi a osannarlo come pittore.
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