“I segni del drago” raccontano i misteri della civiltà cinese
Le parole cinesi non contengono informazioni grammaticali visibili. Non indicano singolare o plurale né il genere, sono senza articoli, coniugazioni e casi. A lungo, in passato, gli occidentali hanno pensato che ai cinesi mancasse la capacità di pensare con precisione e di riflettere. Naturalmente non è così ma le differenze tra la Cina e l’Occidente sono molte e non solo linguistiche. Attraverso la conoscenza della lingua è più facile comprendere il gigante asiatico dell'economia globale e la sinologa Thekla Chabbi fornisce in merito uno strumento illuminante con il libro “I segni del drago – La Cina nei misteri di una lingua millenaria” (Bollati Boringhieri, pagg. 166, euro 19) tradotto da Lorenzo Lilli.
Oggi la Repubblica Popolare è il paese più abitato al mondo, è il terzo per superficie, comprende cinque fusi orari e confina con quattordici stati. La lingua nazionale, il mandarino, è la più parlata sulla Terra come lingua madre e, dopo l’inglese, è la più diffusa. I cinesi sono profondamente consapevoli della forza della lingua perché di mezzo ci sono la gestione del potere e il senso identitario delle persone e se la loro lingua ha tuttora una portata sociale di così ampio respiro è soprattutto a causa della lotta politica per l’unità statale. In un sondaggio di dieci anni fa tra gli studenti cinesi, nella classifica tra centinaia di simboli della loro identità culturale, al primo posto si è imposta la scrittura cinese, percepita come emblema sociale perché rende percepibile la comunanza, dà accesso alle stesse tradizioni e alla stessa versione degli eventi. Thekla Chabbi sostiene che ciò che accomuna davvero la società cinese è il consenso nel riconoscere un ruolo primario a istruzione, letteratura e lingua. Nel ricostruire la storia dei rapporti tra l’Europa e la Cina ricorda tappe importanti come il ruolo fondamentale del missionario gesuita Matteo Ricci che nel 1582 tentò per primo di rappresentare gli ideogrammi con le lettere latine studiando la lingua cinese e la tradizione confuciana e riuscendo a stringere amicizia con brillanti studiosi dell'epoca e contemporaneamente a segnare un successo, lui per primo, nella conversione al cristianesimo. Il volume delinea il modo di parlare cinese con l'uso particolare di sillabe, toni e suoni, illustra i giochi di parole e le omofonie che a volte sono uno strumento per aggirare la censura e rivela quanto tutto questo sveli il carattere di un intero popolo. Osservando poi i caratteri degli ideogrammi si nota come la scrittura cinese sia narratrice e racconti della vita reale nell'antichità e spieghi anche come le persone percepivano il loro ambiente. Se la storia così ricca dello stato asiatico affascina e cattura, non meno avvincente è l'aspetto contemporaneo con l'esempio dei tre giornalisti che l'anno scorso, durante la fase iniziale della pandemia da Coronavirus, hanno fornito un resoconto della situazione a Wuhan documentando in video le scene negli ospedali, i carri funebri e i crematori che il governo centrale cercava con grande sforzo di non far vedere. È noto che questi cronisti sono spariti, riuscendo in qualche caso a mostrare i momenti del proprio arresto e rendendo ancora più drammatica la sorte delle poche voci coraggiose che sfidano il regime del Partito Comunista. Un'eredità millenaria quella cinese, macchiata da misteri e incongruenze. —
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