I segreti del poeta nelle lettere

di ALESSANDRO MEZZENA LONA
C’era una poesia che Umberto Saba amava molto. No, non l’aveva scritta lui, ma il suo amico Vittorio Sereni. Si intitola “Solo vera è l’estate” e dice: «Ora ogni fronda è muta, / fatto il guscio all’oblio, / perfetto il cerchio». Quei versi, l’autore del “Canzoniere” avrebbe voluto fossero incisi sulla propria tomba. Per accompagnarlo nell’estremo viaggio verso l’ignoto.
Il desiderio del poeta non è stato, però, esaudito. Dopo la sua morte, avvenuta il 25 agosto del 1957 in una clinica di Gorizia, la figlia Linuccia decise di far incidere sulla tomba di Saba i versi tratti dalle sue “Tre poesie alla Musa” che recitano: «Pianse e capì per tutti». Ma non lo fece per contrariare la volontà del padre, sia ben chiaro. Il problema è che lei stessa non era a conoscenza dell’intero carteggio intercorso tra Saba e Sereni. E non poteva sapere, pertanto, di quel suo segreto desiderio.
Lo sottolinea Stefano Carrai, docente di Letteratura italiana all’Università di Siena, nel suo saggio “Saba”, pubblicato da Salerno editrice (pagg. 294, euro 18). Del libro, che scandaglia a fondo la biografia del poeta, ma anche il suo lavoro letterario, mettendo particolare attenzione alla produzione in prosa delle “Scorciatoie e raccontini” e del romanzo incompiuto “Ernesto”, viene presentato domani alla Libreria Minerva di Trieste, in via San Nicolò 20. Con l’autore dialogheranno Gino Ruozzi e Fulvio Senardi.
Oggi, invece, è prevista una giornata di studi organizzata a Trieste dall’Istituto giuliano di storia cultura e documentazione insieme al Circolo della stampa. Alle 17, nella sala Paolo Alessi del Circolo della Stampa in corso Italia 13, si terrà il convegno “Le Scorciatoie di Umberto Saba. Dov'è la Nuova Europa? Non lo so forse in scorciatoie”. Parleranno Stefano Carrai sul “Tema della Shoah in Scorciatoie e raccontini”; Edoardo Greblo, redattore della rivista “aut aut” (“Il Saba delle Scorciatoie e la filosofia”); Alfredo Luzi dell’Università di Macerata (“Alcune note sulla scrittura antinomica di Scorciatoie”); Gino Ruozzi dell’Università di Bologna (“Aforismi di poeti: Saba, Sbarbaro, Gatto”); il saggista e narratore Silvio Perrella (“Narrazioni di scorcio: bestie, sillabari e Scorciatoie”); Fulvio Senardi, presidente dell’Istituto Giuliano (“Saba e le Scorciatoie, la stagione dell’impegno”)
Quando si parla di Saba, il materiale a disposizione degli studiosi non manca. Come dimostra il ricco saggio di Carrai, pieno di spunti di riflessione sulla vita e sull’opera dello scrittore. Ma il fatto che il multiforme e ricchissimo epistolario sabiano non abbia mai trovato la via della pubblicazione, nella sua interezza, priva chi si occupa dell’autore del “Canzoniere” di «una nuova opera di Saba che s’intravede affascinante», come sottolinea Carrai.
Non mancano, ovviamente, gli esempi per dare forza a questa ipotesi. Come la lettera che Saba scrisse nel marzo del 1956 all’amico Nello Stock. In cui raccontava perché «Gesù, non Gesù Cristo, ed un Gesù che nulla aveva che fare coi preti e con la chiesa» gli era entrato nel cuore. A uno come lui, rimasto in bilico per tutta la vita tra il rifiuto delle origini ebraiche e l’impossibilità di traghettarsi verso il cristianesimo. Perché in «quell’uomo nudo e solo - scriveva -, abbandonato da tutti, tranne dai suoi carnefici» vedeva riflesso il destino dell’umanità. E, quindi, anche di se stesso, troppe volte deriso, umiliato, sottovalutato. «Ed incominciai a piangere come un bambino, ininterrottamente per quelle due ore», diceva ancora. Concludendo: «Non capivo bene (né lo capisco ora, che sono ritornato arido come una roccia) che cosa sia accaduto in me».
Promesso più volte dalla figlia Linuccia, e mai arrivato in porto se non per frammenti, l’epistolario è ora nelle mani dell’erede sabiana Raffaella Acetoso. Che più volte s’è detta fortemente intenzionata a realizzare il progetto di dare pubblicazione al voluminoso archivio di lettere, senza successo. Lo stesso poeta Andrea Zanzotto sottolineava quanto fosse importante leggere Saba scrittore di lettere: «La generosità con cui lui scrive lettere fa sì che l’interlocutore, nel momento in cui viene presupposto come una “pars” del poeta stesso, si dilata quasi a interlocutore globale”, che corrisponde a tutto il pubblico, sentito come insieme di singoli, ma fratelli, sodali, persone che possono leggere queste lettere senza essere indiscrete».
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