I tarli del canaro vivono ancora

Un film premiato a Cannes, due libri di cui uno fresco di stampa. Tanto orrore e tanto sangue, era quasi inevitabile, sono finiti in pasto a cinema e narrativa. Del resto ci sono storie, fatti di cronaca, come quella del Canaro, che non muoiono mai. Casi che, per la loro truculenza e per la particolarità dei personaggi che li popolano, hanno trovato spazio in qualche recondito angolo dei magazzini della nostra memoria. Bastano (e avanzano) il film di Garrone “Dogman” e il romanzo di Massimo Lugli e Antonio Del Greco “Il canaro della Magliana” (Newton Compton, pagg. 323, 9,90 euro) per riportare in superficie una vicenda che per settimane inondò le prime pagine dei giornali. Trent’anni sono passati da deliri sanguinari di Pietro De Negri, il tosacani meglio conosciuto come “er canaro”. Una persona all’apparenza mite, un cocainomane disperato lasciato dalla moglie che in un giorno di straordinaria follia rovesciò il copione della sua vita: la vittima esaperata dalle continue vessazioni e richieste di denaro si trasformò in carnefice seviziando, mutilando e uccidendo l’ex pugile Giancarlo Ricci, il classico bullo di periferia. Pietro De Negri per la sua gente diventò una sorta di “giustiziere”. Parlavano i muri del quartiere dove stava scritto “Canaro sei con tutti noi”. Un delitto consumatosi in un contesto di assoluto marciume sociale, dove la parola degrado è poco, non basta per descrivere le zone più fetide del quartiere della Magliana dove si vive al limite, dove lo Stato è spesso assente. Dove spaccio, piccoli furti e scippi sono una abituale fonte di sostentamento.
A distanza di trent’anni questa storia che neanche talenti dell’horror come Dario Argento e Jorge Romero sarebbero riusciti a partorire, sembra ancora viva e pulsante al punto che è finita dritta anche a “Chi l’ha visto?” con il suo carico di interrogativi e di misteri mai spazzati via del tutto dalle indagini. Anche per merito del film e del libro del giornalista di Repubblica che lo ha scritto assieme all’ispettore di polizia che allora condusse l’inchiesta e che ha redatto i verbali pubblicati in fondo al libro. Lugli e Del Greco scegliendo il format narrativo del romanzo hanno ampliato la cornice, hanno arricchito la storia di personaggi più o meno intriganti (la poliziotta che si innamora di un balordo del quartiere, il commissario sciupafemmine, l’allibratore clandestino violento e vendicativo).
Con questa operazione da una parte hanno dato più sostanza alla storia, dall’altra hanno tentato di diluire tutto quel sangue. Arrivare al tosacani per la polizia non era stato difficile, poi una volta messo sotto pressione in Questura aveva cantato cadendo in una banale provocazione e poi il raccapricciante racconto-fiume che aveva fatto sbiancare in volto scafati poliziotti. Un racconto fin troppo ricco di dettagli e di particolari. Una ricostruzione inquinata dai tarli della mente del canaro che aveva mischiato realtà a un’immaginazione malata. Una persona accusata di un così terribile omicidio di solito tenta di alleggerire le sue colpe. Pietro De Negri ha fatto l’opposto, ha aggiunto particolari macabri sostenendo, per esempio, di aver torturato il pugile per sette ore prima di finirlo, ma l’autopsia lo ha smentito. Deliri e rancori non si erano estinti neanche dopo quell’atto di bassa macelleria, non a caso il Canaro è stato giudicato seminfermo di mente. Un caso destinato a finire nei libri di psicopatologia.
Nella parte del romanzo dove prevale la fiction, la coppia Lugli-Del Greco aggiunge altre storie nella storia (e qualche sorpresa) per deviare da una realtà agghiacciante e abbastanza scontata. Ma i due autori catturano maggiormente l’interesse del lettore laddove cominciano a seminare dubbi e interrogativi. Tutto quell’orrore può veramente essere stato opera di un ometto ben impersonato nel film di Garrone da Marcello Fonte? Davvero non l’ha aiutato nessuno? Come poteva starci Ricci, che era invece grande grosso, nella gabbietta per i cani? Troppe zone d’ombra, la madre dell’ex pugile è convinta che quel “pupazzo” (così chiama er Canaro) c’entri poco o niente con quell’omicidio.
Nel 1988 polizia e pm hanno accreditato la versione del tosacani depurandola solo dalle sue allucinazioni. Forse un’indagine chiusa frettolosamente di fronte a un reo confesso, forse bisognava scavare ancora nella melma, soprattutto sulle frequentazioni di vittima e carnefice. Altre piste importanti non erano spuntate, ma i buchi neri non mancavano. Davvero il supertestimone che aveva accompagnato in auto Ricci dal Canaro ha atteso a lungo in macchina, per poi andarsene via con il veicolo senza sforzarsi di capire perchè non era tornato e accontentandosi della versione fantasiosa del tosacani?
Non esistono risposte definitive a questi quesiti. Le gabbiette per i cani, per esempio, sono state da tempo smembrate. Non si possono misurare. Lugli e Del Greco, comunque, hanno fatto un buon lavoro. Un giusto compromesso tra finzione e realtà.
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