Il barone che sfidò l’imperatore
Nel libro di Miriam Blasich l’uomo, l’imprenditore, il finanziatore del Canale di Suez

«Il denaro io l’ho nella testa non nel cuore». La frase è di Pasquale Revoltella e delinea l’immagine che il personaggio voleva dare di sé. Parliamo del più grande finanziere che Trieste abbia avuto. Un uomo venuto dal nulla che è riuscito a costruire un impero economico che ha toccato il suo culmine con la vice presidenza della società del Canale di Suez. Opera che Revoltella volle fortissimamente e alla quale contribuì anche con le sue potenti finanze, ma che non poté vedere realizzata, perché morì due mesi prima dell’inaugurazione.
La vicenda umana del barone viene ripercorsa da
Miriam Blasich in “Pasquale Revoltella – Il barone si racconta” (Mgs Press edizioni, 80 pagg. 9.50 euro)
, in libreria da domani. Il volume verrà presentato il 14 ottobre, alle 18, alla Libreria Minerva.
L’autrice è una fumettista, illustratrice e scrittrice che si è già misurata con biografie storiche, però a fumetti, sull’attrice Nora Gregor e altri personaggi goriziani. In questo caso, la Blasich ha scelto di raccontare questa vita straordinaria con la scrittura, facendo parlare il protagonista stesso, che inizia dalla sua partenza da Venezia, piccolissimo, aveva due anni, avvolto in una coperta tra le braccia amorevoli della madre. Era il 1797 e la Dominante era in piena decadenza mentre sulla vicina sponda dell’Adriatico sta crescendo Trieste, verso la quale la famiglia si dirige. “L’unica buona decisione di mio padre” afferma Revoltella.
Da qui il racconto si snoda pacato e dignitoso come pacato e dignitoso appare il barone nei suoi ritratti. Non ci sono scosse nella sua narrazione, c’è un crescendo in cui espone com’è riuscito a raggiungere i vertici della scala sociale, tanto da poter rivaleggiare con un esponente di sangue reale, Massimiliano d’Asburgo, lo sfortunato (anche per sua colpa) imperatore del Messico.
Con l’allora arciduca, Revoltella si misura costruendo il suo palazzo di piazza Giuseppina (oggi Venezia) e mentre di fronte sul golfo nasce il bianco castello di Miramar. I due rivaleggiano pure nell’interesse per l’oriente e gli oggetti preziosi e curiosi di quelle terre, tanto che durante una cena Revoltella teme di aver superato i limiti quando racconta di aver lasciato a Karnak sul tempio di File la scritta: “P. Revoltella 1861”. Un vandalismo riprovevole, ma erano altri tempi. Massimiliano, da gran signore, incassa e invita a brindare all’”uomo che sarà ricordato insieme ai Faraoni”.
Revoltella non nasconde i suoi umili natali che, anzi, gli servono per dimostrare quanta strada è riuscito a fare da solo: va a lavorare giovanissimo, con la scarsa istruzione che l’amatissima madre è riuscita a procurargli, si fa le ossa nell'impresa commerciale del console svizzero Teodoro Necker. Nel 1835 apre una ditta di importazione di legnami e granaglie che si afferma con successo e avvia la sua attività di finanziere: è tra i sottoscrittori delle Assicurazioni Generali, entra nel consiglio d'amministrazione del Lloyd Austriaco. È consigliere comunale e deputato di Borsa. Nella sua ascesa è fondamentale l’amicizia con il barone Carl Ludwig von Bruck, uno dei fondatori del Lloyd, che sarà ministro del Commercio e delle Finanze. E Revoltella sottolinea come sia importante avere le coperture politiche, frequentare l’anticamera dei ministeri. Insomma tessere pubbliche relazioni con i potenti, alle quali fa gioco un sontuoso palazzo dove invitare a cene luculliane e feste indimenticabili.
Con pacatezza e signorile distacco Revoltella racconta della sua disavventura giudiziaria dalla quale esce pulito, tanto da meritare nel 1867 il titolo baronale. Morirà due anni più tardi. Nelle pagine finali del volumetto sono riportati passi importanti del testamento che denotano la grande generosità di Revoltella che si era già speso in iniziative educative e umanitarie quali la scuola di disegno, un altare Santa Maria Maggiore, la costruzione del "Ferdinandeo", del Teatro Armonia, dell’ospedale infantile, dell’Istituto dei poveri.
Muore solo, senza figli e senza una consorte, che sa di non poter avere, tanto da non prevedere nel suo palazzo appartamenti a questo scopo. Tutto va all’amata Trieste alla quale si era dedicato per “darle forma e renderla magnifica”.
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