Il Campiello a Fontana con la sua stagione degli “anni di piombo”

di Roberto Carnero
VENEZIA
È Giorgio Fontana il vincitore della cinquantaduesima edizione del premio letterario Campiello. Con 107 voti lo scrittore lombardo si aggiudica il prestigioso riconoscimento di Confindustria Veneto con il romanzo Morte di un uomo felice (Sellerio).
Seguono Michele Mari con Roderick Duddle (Einaudi), 74 voti; Mauro Corona con La voce degli uomini freddi (Mondadori), 43 v.; Giorgio Falco con La gemella H (Einaudi), 36 v.; e Fausta Garavini con Le vite di Monsù Desiderio (Bompiani), 31 v. A decretare il verdetto sono stati 300 lettori "popolari" (in realtà solo 291 i voti validi), che hanno scelto all'interno della cinquina, individuata a giugno dalla giuria dei letterati, quest'anno presieduta dall'attrice Monica Guerritore.
Lombardo, classe 1981, Giorgio Fontana è l'autore più giovane della cinquina. Morte di un uomo felice affronta il racconto di una stagione della storia recente, i cosiddetti "anni di piombo", attraverso un personaggio emblematico e una vicenda di grande impatto narrativo.
Fontana si è detto felice ed emozionato per un risultato che non si aspettava: «Mi è capitato più volte di definire l'essere nella cinquina del Campiello "una bella pacca sulla spalla", e credo sia l'espressione giusta. È un grande riconoscimento e ne sono davvero contento: ma non scrivo per vincere premi, scrivo per offrire qualcosa di buono ai miei lettori. Quindi, ero piuttosto sereno prima del verdetto. La mia preoccupazione principale oggi pomeriggio era di ricordarmi come si fa il nodo alla cravatta».
A condurre la cerimonia (che verrà trasmessa in differita mercoledì sera su La7), come lo scorso anno (quando si era interrotta la tradizione che da diverse edizioni affidava la serata a Bruno Vespa), sono stati Neri Marcorè e Geppi Cucciari.
In mattinata la tradizionale conferenza stampa che precede la serata di gala ha registrato alcune schermaglie innescate proprio dalla presentatrice. Infatti la Cucciari ha accusato i giornalisti di seminare, con le loro domande, zizzania tra i concorrenti, creando tensioni e rovinando quella che deve essere soprattutto festa del libro e della lettura. In realtà, il dibattito non ha fatto altro che toccare alcuni temi tradizionali dei premi letterari: se conti maggiormente, ai fini del verdetto, la qualità dei libri in gara oppure la forza dei gruppi editoriali che li pubblicano e se la popolarità di un autore nel suo ruolo di personaggio mediatico (pensiamo a Mauro Corona con la sua audience di fan) non rischi di oscurare concorrenti meno abili a stare su un palcoscenico. Argomenti sui quali anche gli scrittori, pure sollecitati dalle domande dei cronisti, hanno preferito glissare.
Hanno invece accettato di confrontarsi su un'altra importante questione, quella del romanzo storico, visto che a questo genere letterario appartengono, a diverso titolo, tutti e cinque i libri finalisti. Questa tendenza a rifugiarsi nel passato - remoto nel caso della Garavini e di Mari, prossimo nelle opere di Falco, Corona e Fontana - è forse conseguenza di un rifiuto del presente oppure di un calo di fantasia, motivazione o ispirazione quando si provi a confrontarsi con la contemporaneità? «Non è così - risponde deciso Michele Mari - la scelta del romanzo storico non implica un tasso di ispirazione né più alto né più basso. È solo un'opzione di tipo letterario, che non può essere oggetto di un giudizio di valore».
«Poi bisogna capire che cosa si intende con romanzo storico», incalza Fausta Garavini. «Quello di romanzo storico - continua la scrittrice - è un contenitore vuoto, che può comprendere libri molto diversi tra loro. Ciò che importa non è che ci sia un certo contesto storico piuttosto che un altro, ma il senso che lo scrittore ci mette dentro, il significato che viene annesso all'operazione». Replica Giorgio Falco: «Io non ho inteso scrivere un romanzo storico, ma una saga familiare, che, partendo dalla storia del Novecento, si interroga sul presente. Perché è proprio quest'ultimo che mi interessa da vicino».
Nel corso della cerimonia è stato consegnato anche il premio Fondazione Campiello, una sorta di riconoscimento alla carriera, al germanista e narratore triestino Claudio Magris. «Al di fuori di ogni moda - recita la motivazione - i suoi romanzi e racconti coniugano la capacità di interrogarsi in modo originale sulle questioni ineludibili dell'esperienza umana con una scrittura caratterizzata da un'eleganza intesa non come ornamento ma come strumento conoscitivo.
Nella sua narrativa non di rado vengono esplorati i confini, più incerti di quanto non appaia al senso comune, tra vero e falso, tra normalità e follia. Magris ha spesso mostrato una felice propensione alla commistione e all'intreccio dei generi testuali; ne è prova evidente il suo libro più celebre, Danubio (1986), certamente un classico della letteratura novecentesca, in cui, partendo da un diario di viaggio, si approda a una personalissima realizzazione di romanzo-saggio».
Premiato anche Stefano Valenti, vincitore del Campiello "Opera Prima" con il romanzo “La fabbrica del panico” (Feltrinelli), una storia legata alle morti per intossicazione da amianto. Si tratta di una vicenda che ha radici autobiografiche, legate al padre dell'autore. Tutto comincia negli anni Settanta quando il padre-pittore abbandona la sua valle e scende in pianura, in una città estranea, dentro una stanza-cubicolo per dormire, dentro un reparto annebbiato dall'amianto.
Fuori dai cancelli della fabbrica si lotta per i turni, per il salario, per ritmi di lavoro più umani, ma nessuno è ancora veramente consapevole di come il corpo dell'operaio sia esposto alla malattia e alla morte. Lì il padre-pittore ha cominciato a morire.
Il figlio ha ereditato un panico che lo inchioda al chiuso, in casa, e dai confini non protetti di quell'esilio spia, a ritroso, il tempo della fabbrica e il corpo subdolamente offeso di chi ha chiamato “lavoro” quell'inferno. Ci vorrà l'incontro con Cesare, operaio e sindacalista, per uscire dalla paura e cominciare a ripercorrere la storia del padre-pittore e di tutti i lavoratori morti di tumore ai polmoni. Questa sì, una vicenda di scottante attualità.
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